La storia dell’Uomo, e del mondo prima, è sempre stata fatta di grandi cicli, di andate e ritorni, di alti e di bassi. Di cambiamenti, insomma. Pensiamo ai dinosauri, per esempio, e alla loro estinzione; o agli ominidi e alle loro evoluzioni in forme umane. Da lì i passaggi sono stati innumerevoli per un’umanità capace di cose enormi, dalle più meravigliose alle più aberranti. Abbiamo avuto l’onore di conoscere la magia di epoche di straordinaria bellezza e capacità creativa; abbiamo visto, da un lato, l’umo capace di creare arte, cultura e sociale benessere. Come, dall’altro lato, abbiamo avuto l’onere di constatare l’orrore di epoche di odio, distruzione, violenza e diffidenza.
Si studia a scuola, dopo tutto, come la storia sia fatta di epoche che iniziano e finiscono: il medioevo prima, il rinascimento poi e così via. Ma se è facile (o almeno potrebbe essere facile) comprendere guardando al passato, ben più difficile è comprendere la realtà dell’epoca in cui si vive: la storia – si sa – non si può studiare al contrario. Tuttavia, si può e, a mio avviso, si deve avere una capacità percettiva e analitica che ci conceda quanto meno di relazionarci con il momento storico attuale.
“Come si può – mi chiedevo in questi giorni – vivere bene in un mondo come questo? Come si può in un mondo sempre più orientato a chiusura e separazione, a paura ed astio?” Ho riflettuto molto, ma la risposta non l’ho trovata. Forse non la troverò mai. Viviamo in un mondo che, un domani, un qualche libro di storia potrebbe definire “di transizione”; un mondo che non ha una definizione ancora chiara; un mondo che sta voltando pagina rispetto all’epoca post-bellica e che, mi par di capire, non sa ancora bene in che direzione andare. Dato come stanno andando le cose e data la mia età (non sono anziano, ma nemmeno un bimbo), ho paura – o forse la speranza – di non arrivare a vedere l’esito di questa svolta. Ne vedo, in ogni caso, i primi barcollanti passi ad indicare la via: dai personaggi politici alla ribalta (da Trump ad Orban, passando per Putin e Salvini) ai sentori della gente comune ormai, quasi anestetizzata da orrendi mostri mentali, che si trova incapace pure di accennare un sorriso allo sconosciuto passante.
Come si può vivere bene in un mondo così, io non lo so. Io che credo in un mondo sempre più aperto e meno localizzato, io che credo più alle battaglie di lotta civile che alle battaglie di lotta di classe, io che auspico l’apertura più che la chiusura, io che credo nell’abbraccio fraterno più che alla finta stretta di mano. Io proprio non lo so. Ma quel che so – e ne porto viva la convinzione nel cuore – è che la vita nel mondo non può essere senza la speranza; una speranza vissuta prima che desiderata; una speranza costruita prima che teorizzata; una speranza che crea consapevolezza e coscienza di sé e di ciò che ci circonda. Perché, se aveva ragione De Gregori, la Storia – in transizione o meno che sia – siamo anche noi.
Giorgio Moranda