Parlare di Libia in questo periodo è parlare di guerra, ma fortunatamente il tutto è successo dopo il rientro dal viaggio qui raccontato. Ultimo sabato di Novembre, il Mercedes 300 GD e le tre moto: Yamaha 600, Beta Alp 400, TM 250 sono preparate a doc per affrontare i Km di deserto che li aspetta ed il gruppo formato da cinque uomini ed una donna sono pieni d’entusiasmo e di aspettative. S’imbarcano a Genova arrivando a Tunisi dopo 24 ore di traversata, il controllo in dogana allo sbarco fila liscio come l’olio per la jeep ed i suoi occupanti, mentre ci sono problemi col furgone che trasporta le moto infatti è l’ultimo ad uscire. Nonostante sia sera ed i Km da fare per arrivare in frontiera sono tanti, trovano il tempo per fermarsi in un locale tipico tunisino a mangiare le costolette d’agnello che in realtà sono di pecora e pagarle il triplo. Dopo aver viaggiato tutta notte, a trenta Km dalla frontiera fanno il primo campo, Clara e Fabrizio dormono sulla jeep attrezzata anche per quello, Eugenio, Ivano, Stefano ed il Maci in tenda. Trascorsa una notte tranquilla passano la frontiera tunisina senza difficoltà ed escono da quella libica altrettanto velocemente. Da Ras Ajedir a Sabha i km da fare sono circa 1000, il traffico a Tripoli sembra un vespaio, ma viaggiando tutto il giorno il gruppo arriva al campeggio ai margini di Sabha a notte inoltrata. Non ci sono turisti, meglio così perché devono scaricare le moto dal furgone e preparare tutto per l’alba quando inizierà il viaggio vero e proprio. Obiettivo è attraversare il mitico deserto del Murzuq dal quale prende il nome il villaggio dall’atmosfera tipica del Sud della Libia. Il deserto li attende con dune altissime attraversate per la prima volta nel 2004. Salire e svallare dune di 400 metri e più, è decisamente faticoso, il Tojota PiKap della guida obbligatoria chiamata Omaro è stracarico di roba, anche per lui è la prima attraversata, non ha mai affrontato questo deserto ed ogni tanto entra nel panico, non sa cosa fare, prega e si dispera, ma il gruppo compatto non demorde e lo incita a proseguire. Per Fabrizio e Clara non è un grosso problema, il deserto lo conoscono, non lo sottovalutano e lo rispettano essendo dei veterani, ma lo rispettano anche Stefano, Eugenio ed il Maci, i tre centauri alla loro prima esperienza, intimoriti all’inizio da questa strabiliante immensità di dune dalle tonalità fantastiche prendono poi confidenza e sembrano volteggiare sulla sabbia a volte compatta ma spesso morbida. Ivano il più giovane del gruppo siede a fianco della guida, non riescono a comunicare, uno parla arabo l’altro il bresciano ma dopo tre giorni insieme, parlano e si capiscono al punto tale che un giorno Omaro con le mani nei capelli e disperato chiede al ragazzo: si và di qua o si và di là? A questo punto Fabrizio prende in mano le redini della situazione. I contrattempi non sono pochi, forature di pneumatici risolte in breve tempo, insabbiamenti e l’accensione automatica della moto di Stefano a causa della batteria che ha dato forfé per cui non più funzionante, risolta, grazie all’abilità del gruppo, attaccando dei morsetti alla Gip. Ma gli imprevisti non demoralizzano i nostri avventurosi anzi, aumentano l’adrenalina e ad ogni duna scavalcata , il fatto di trovarsi poi in canaloni di terreno primordiale ricchi di reperti come macine, pestelli, amigdale e manufatti aumentano l’entusiasmo e la curiosità di fare altre scoperte. Trovare poi le fulgoriti non è da tutti, sono residui solidi molto fragili, il fulmine scarica la sua energia nella sabbia ad una temperatura che và oltre i 7000 gradi sciogliendola per poi solidificarsi in tuboli di vetro e silicio con un canalino al centro. I pomodori e la frutta comprati nel villaggio Murzuq sono finiti, anche la caduta di Eugenio all’inizio del deserto è solo un ricordo, mentre le notti tra le dune sotto una cupola di stelle che sembra si possano toccare sono strabilianti quasi inverosimili. Purtroppo la traversata in questo oceano di sabbia durata 5 giorni è finita, come sono quasi finiti i 400 litri di gasolio, i 550 di benzina rifornimento fatto precedentemente a Sabha al costo di 6 centesimi al litro, anche l’acqua scarseggia ma il viaggio prosegue. Li attende l’Akakus ma per arrivarci devono traversare una sassaiola di centocinquanta Km. Si viaggia a passo d’uomo ed il campo in questa immensità di sassi non è piacevole, ma anche questo è deserto. Il tutto è faticoso ma entusiasmante e l’arrivo in un posto militare dove sono accolti con gentilezza e cordialità diventa un momento di relax perché li attende una vasca piena d’acqua dove si abbeverano i cammelli. Eugenio si butta a pesce per rinfrescarsi, il caldo di Dicembre è anomalo, sono più di 40 gradi all’ombra, gli altri si lavano e si divertono come matti. L’arrivo di un vecchio Tuareg con tre cammelli bianchi è sorprendente, vaga nel deserto da solo e siamo nel 2010, poi vedere una Land Rover vecchissima ed in pessime condizioni ma funzionante suscita una forte curiosità, serve una candela del motore per farla partire. Entrare nell’Akakus è come entrare in un mondo di sculture ma fatte da madre natura, montagne e dune assieme, una fusione spettacolare all’occhio umano, archi naturali altissimi e sabbia sono uno scenario fantastico. Il cielo tinto di colori rosati proiettati sulle piccole dune, avvolge in uno tramonto tutto ciò che circonda i nostri protagonisti, il pane che Omaro impasta e cuoce nella sabbia sotto miriadi di stelle è buono e la luce del fuoco diffonde una magica atmosfera che ripaga da tutte le fatiche.Anche pulire le ciotole con la sabbia asettica risulta divertente. La pentola battuta da Stefano dà la sveglia, l’alba con i suoi colori violetti dalle varie gradazioni li accoglie, lo sbalzo termico è notevole ma il freddo non si sente, è più forte il senso di libertà che circonda il tutto. Dopo tre giorni lasciano a malincuore l’Akakus per dirigersi all’oasi di Al Auaynat dove riempiono nuovamente i serbatoi e le taniche d’acqua, concedendosi poi un’abbuffata di pollo e patatine completata da un buonissimo caffè locale, i Tuareg seduti poco distanti, parlano tra loro in modo discreto, avvolti nei loro lunghi abiti blu e nei turbanti bianchi, il tutto in un clima sereno e tranquillo. Ben rifocillati riprendono il viaggio, l’Awbari li attende, ma la luce cala velocemente obbligandoli a fare il campo, scaricano come sempre il Pikap, preparano le tende e la cena, poi intorno al fuoco commentano la giornata. Sono stanchi fisicamente, ma l’umore è al top, il silenzio è talmente forte che si può sentire, nulla disturba quella quiete. Purtroppo il risveglio è turbato dall’inquietante presenza di due corvi che perseguitano per tutta la giornata Eugenio, per i libici questi volatili sono sinonimo di sfortuna, infatti al nostro centauro capitano guai, uno seguito dall’altro, fortunatamente tutti risolvibili. La fama dei corvi è confermata. Il gruppo prosegue imperterrito, nulla lo può fermare, obiettivo i laghetti Gabron, Mandarà ed una traversata di circa 150 km tutta di dune, ma i corvi svolazzano in cielo su di loro, infatti la moto del Maci termina il suo percorso e spingere una due ruote su sabbia morbida è un bel tour de force, ma riescono a metterla al sicuro dietro una duna coperta da piccole palme. Per Ivano ed il Maci è un sollievo tuffarsi nell’acqua salata del laghetto dopo lo sforzo notevole, anche Clara sguazza come un pesce sotto lo sguardo curioso dei libici che sostano in questa bellissima oasi per poi invitarla a mangiare del pollo con loro, seguita di buon grado dal resto del gruppo. Una bella esperienza in mezzo a gente cordiale ed ospitale, ma devono lasciare di malavoglia questa bellezza naturale e rinunciare alla traversata, caricano la moto sul Pikap di Omaro uscendo dal deserto per giungere al campeggio dove lasciano la moto. La pista Idri Darji per arrivare all’altopiano della Hamada li aspetta, nel villaggio in prossimità della pista decidono di bere un caffè, ma l’unico chiamiamolo bar è chiuso, ma la gente del posto gentilmente chiama il gestore che apre il locale per loro, fa un caffè buonissimo e fa pagare il giusto non mettendo in conto il disturbo. Ben temprati imboccano la pista, è molto bella perché il paesaggio cambia in continuazione, dalle dune allo sterrato, attraversano un lago secco, vegetazione e montagne li affiancano e poi ancora dune, ad un certo punto non vedono più il Pikap con a bordo Ivano e Omaro, ma non si scoraggiano, Fabrizio sa cosa fare, tornare sulle proprie tracce fino a dove s’incontrano quelle dell’altro mezzo, infatti dopo mezz’ora il gruppo è riunito. La salita per giungere alla Hamada è ripida e lunga ma giunti in cima il panorama che si presenta guardando in basso è spettacolare. Verso sera incontrano un convoglio di camionisti fermi per il campo notturno, sono tanti e salutano il gruppo con allegria. Trascorrono due giorni in questo deserto dal fascino particolare, purtroppo il clima è ben diverso dal Murzuq, fa freddo e c’è il vento. (Fine 1^Parte) Brunelli Clara Settembre 2011