Circa trent’anni fa, una mia amica iscritta all’AVIS mi fece questa domanda: <tu potresti donare il sangue, salvando perciò molte vite, ma non lo fai, ti senti a posto con la tua coscienza? IL suo interrogativo mi spiazzò e continuò a frullarmi in testa per molto tempo. Decisi così di andare dall’allora presidente AVIS del mio paese per informarmi su cosa fare per poter diventare un avisino. Iniziai così con le visite ed i prelievi preliminari per stabilire se ero idoneo a diventare donatore. Mi colpì molto una frase che mi disse un medico durante una visita: <secondo te, perché le donne vivono mediamente sette anni più degli uomini?>, <Perché loro non si devono sopportare?>, (naturalmente la mia fu una risposta ironica), < Perché grazie alle mestruazioni, mantengono sempre il sangue rinnovato>. Io non so se quel che mi disse il medico abbia una valenza scientifica, ma quelle parole mi fecero riflettere.
Tutte le visite e le analisi andarono per il meglio, diventai così un tesserato AVIS; ero veramente felice. Mi ricordo bene la mia prima donazione, ero un po’ agitato, credevo di sentire chissà quale male, invece fu si e no come una puntura di zanzara. Dopo la donazione, con mia felice sorpresa, c’era una tavola imbandita ad aspettarci: panini al salame, al prosciutto, succhi di frutta, caffè latte; pensavo: per la miseria, faccio del bene agli altri, tengo la mia salute sotto controllo, dopo aver donato si mangia e si beve; il tutto gratuitamente. Ma la cosa che maggiormente mi è rimasta dentro, è stata la gioia, l’orgoglio, la soddisfazione di essere stato per la prima volta in vita mia, veramente utile agli altri. In macchina, mentre tornavo a casa, ero talmente felice che cantavo a squarciagola, al punto che arrivato a casa facevo fatica perfino a parlare, è stato sicuramente uno dei giorni più belli della mia vita.
Così per dieci anni donai il mio sangue senza saltare mai un appuntamento, 41 prelievi per 41 mie rinnovate soddisfazioni. Ricevetti anche due lettere di ringraziamento, scritte dal presidente generale AVIS Brescia, perché il mio sangue ha sempre rispettato tutti i parametri e perciò è sempre stato utilizzato in tutte le sue parti. Di riflesso questo mi stimolava a mangiare e bere con equilibrio, oculatezza, con una ricaduta positiva in primis sulla mia salute.
Ero proprio contento, finché una domenica, direi una brutta domenica, mi sono recato all’ospedale, entusiasta come sempre, di fare il mio dovere di bravo cittadino; quel giorno c’era un medico nuovo, mai visto prima, che presenziava ai prelievi; gli consegno il foglio del questionario debitamente compilato, mi fa qualche domanda: <Che professione svolge?> – <Sono un contadino>, da quel momento in poi cominciò a trattarmi come un rimbambito. <Ma lei ha capito tutte le domande del questionario?> – <Certo, ho già donato il sangue quarantuno volte, so bene come si compila!>. Ma lei conosce il significato della parola piercing?> – < Certo che lo conosco, non mi sono messo piercing; senta dottore, le ho già detto che non è la prima volta che dono il sangue>. <Attualmente è in buona salute?> – <Sì, attualmente sto benissimo!> – <Non soffre di diarrea?> – <No, sto bene> – <Ma lei conosce l’esatto significato della parola diarrea?>.
In quel preciso istante mi girarono le balle; <Dovrebbe essere merda liquida> – <Effettivamente sì>. Senta, le faccio l’ultima domanda, so che è sposato ma gliela pongo lo stesso: <Ha rapporti sessuali con persone sconosciute?> – <Trombo a destra e a manca>, (ormai avevo perso le staffe). <Per la miseria, ma almeno usa il profilattico?> – <Mi faccia pensare, i profilattici sono quei palloncini che gonfio al compleanno di mia figlia? Sa dottore dove starebbe bene un profilattico? Sulla sua testa, si perché lei è una testa di ca…..>. Il resto della conversazione non lo posso scrivere. Tornato a casa, pensavo che qualche rappresentante dell’AVIS mi interpellasse per chiedere chiarimenti su quanto accaduto, ma nessuno si fece vivo, e così con grande mio dispiacere non donai più il sangue per la mia sezione di appartenenza. Dopo un mese dall’accaduto, essendo un donatore convinto, andai a parlare con il presidente AVIS di un paese vicino al mio, gli dissi che avevo avuto dei diverbi nella mia sezione e lui fu felice di accogliermi nella sua. Rifeci nuovamente tutte le visite di controllo, le analisi del sangue e finalmente diventai un nuovo tesserato; anche se non era il mio paese, l’importante era donare. Quando partii per la prima donazione della seconda serie, ero felicissimo, arrivai all’ospedale fischiettando, compilai il foglio con le solite domande: ha fatto tatuaggi, ha messo piercing? Ecc. Ecc. Aprii la porta del piccolo ufficio adiacente la sala d’attesa per consegnarlo al medico che presiedeva ai prelievi; quasi mi viene un colpo quando mi sono trovato davanti ancora il medico dell’ultima volta, (lui era l’incaricato fisso dei 2 paesi adiacenti); avreste dovuto vedere la sua faccia quando mi ha visto, così con nonchalance gli misi la mano davanti alla faccia con il dito medio rivolto all’insu e gli dissi: <Dottore, lei conosce l’esatto significato di questo gesto?>. Girai i tacchi e me ne andai. Arrivato in macchina però, cominciai a riflettere, la voce della mia coscienza mi diceva: <Adesso torni indietro e gli chiedi scusa, gli parli da persona civile, così dopo puoi donare il sangue. Ma l’orgoglio è stato più forte, non ho avuto il coraggio o l’intelligenza di tornare indietro. Dopo qualche giorno il presidente della mia nuova sezione, venne a trovarmi a casa, voleva sapere il perché me ne ero andato senza donare il sangue; gli spiegai tutta la storia; mi disse che non era una cosa irreparabile: “Parlo io con il medico, gli dico di mettersi in contatto con te, così risolvete la questione una volta per tutte.” Il medico io non l’ho mai visto ne sentito. Se avessi avuto più sale in zucca, sarei andato io da lui, invece ognuno di noi è rimasto sulle sue posizioni così mi sono fermato a 41 donazioni. Sono passati vent’anni da allora, in tutto questo tempo avrei potuto donare 80 sacche di sangue. Quante vite si sarebbero potute salvare? È una macchia sulla mia coscienza che mi da veramente fastidio.
Giordano