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UNA LACRIMA NEL MARE

Nell’hotel l’aria condizionata momentaneamente non funzionava, il caldo era opprimente e dormire diventava un proposito irraggiungibile.
Ero già venuto altre volte in questo Hotel, tutto era filato liscio e quindi ero certo che il problema si sarebbe risolto in fretta. Mi giravo e mi rigiravo in attesa dell’alba. Finalmente un lieve chiarore si diffuse nella stanza, in un attimo ero già pronto per uscire alla ricerca di un po’ di sollievo dalla calura che mi aveva accompagnato tutta la notte. Mi diressi verso la spiaggia dove la brezza del mattino mi dava una gradevole sensazione di frescura. Non ero solo nonostante l’ora a godere di questo leggero venticello proveniente dal mare.
Camminavo girandomi ogni tanto per calcolare il tempo che mi sarebbe occorso per il ritorno cercando di tener conto dell’eventuale piccola sosta per il ristoro. Mi sedetti su uno scoglio per captare ogni refolo di vento che provenisse dal mare.
Aaah, che goduria! Il mare era una tavola, non vi era una ben che minima increspatura mentre l’orizzonte si tingeva dei colori dell’alba.
Guardavo il fondo limpido della barriera corallina alla ricerca di qualche pesciolino colorato, assorto in ricordi di emozionanti avventure vissute.

Vagando in questi ricordi tra i riflessi dell’acqua scorsi quasi per magia, una figura avvolta nella nebbia, non ancor ben visibile per i raggi del sole riflettenti sull’acqua. Sforzai la vista perché in quell’abbozzo di figura umana la mia mente richiamava un emozionante ricordo. E che ricordo, forse l’unico più intimo e toccante della mia vita.
Era un giorno più o meno simile ad oggi, caldo estivo e la gente pian piano affollava la spiaggia.
Il bagnino man mano che le persone arrivavano non riusciva ad essere presente per soddisfare tutte le richieste. Poco distante dal mio ombrellone c’erano madre e figlia che attendevano da un po’ di tempo il suo servizio, nonostante facessero di tutto per attirare la sua attenzione.
Sfortunatamente causa la lontananza dell’assistente sino ad ora la loro presenza era stata involontariamente ignorata. Ero lì sul dolce far niente che mi crogiolavo al sole e senza aver avuto nessuna richiesta vado da loro per aiutarle.

Chiesi il loro consenso ovviamente accettato, aprii l’ombrellone e stavo per sistemare i due lettini credendo che entrambe ne avessero bisogno, quando mi resi conto che la figlia era seduta su una sedia a rotelle, quindi la madre mi fece capire che uno bastava. A cenni mi ringraziarono e ritornai al mio posto. Ogni tanto alzavo lo sguardo per osservare le due donne, madre piuttosto corpulenta e la figlia più snella intenta ad attirare la sua attenzione per una sistemazione confortevole e più adatta alla sua infermità. Mentre cercavo di avere un’abbronzatura perfetta mi giravo e rigiravo sul lettino beandomi di quei raggi caldi che avrebbero contribuito a rendere il mio corpo uniformemente scuro.

Ad un tratto sentii come un lamento quasi una richiesta di aiuto, alzai il capo e mi accorsi della difficoltà della madre nel correggere la sistemazione della figlia per l’ennesima volta. Andai da loro e con la mia collaborazione annullammo l’impedimento. Inaspettatamente mi chiesero se volessi fermarmi con loro. Accettai con piacere. Di lato la mamma affaticata e gocciolante di sudore e di fronte la figlia. Iniziammo a parlare non escludendo confidenze e avvenimenti del passato. Mi dissero che erano venute in un centro specializzato sugli arti inferiori per una visita la cui valutazione avrebbe potuto dare esito positivo per un parziale recupero della sua situazione. Mentre la madre dava sfogo alle proprie inquietudini con una loquacità quasi eccessiva, ogni tanto scambiavo lo sguardo con la figlia la quale, con fare furtivo, esprimeva la sua istintiva volontà di potersi liberare da ciò che per lei erano cose risapute. Cercando di non far intendere alla madre che il discorso era un po’ eccessivo, in una delle sue brevi pause chiesi se potevo offrire loro qualcosa di dissetante. La madre rifiutò ma la figlia accettò, così ci dirigemmo verso il bar.

Prendemmo posto dove un filo d’aria mitigava l’afa in attesa dell’ordinazione. Martina era il suo nome e tanta era la voglia di confidarsi del suo passato parlandomi della sua solitudine e di quelle che sarebbero state le sue aspirazioni finiti gli studi. La ascoltavo attentamente senza mai interromperla, era un fiume in piena, rallentò soltanto quando toccò l’argomento dell’incidente avuto col padre. Lui era solito portarla al corso di danza e durante il rientro in macchina un malore improvviso lo colse, così il mezzo senza controllo andò a schiantarsi contro un albero, facendo accartocciare la carrozzeria sino alle gambe di Martina. Il resto si può immaginare, sta di fatto che per me fu un bel pugno nello stomaco questa parte del suo racconto. Dopo questo triste avvenimento non ne parlammo più perché cercammo entrambi di cambiare discordo su argomenti più allegri. Tra un chiacchiericcio e l’altro era giunta l’ora di rientrare in hotel per prepararsi al pranzo così ritornammo dalla madre la quale non finiva mai di ringraziarmi per questa piccola pausa che gli avevo regalato. Prima di lasciarle chiesi se il pomeriggio fossero ritornate in spiaggia ma rifiutarono in quanto il caldo sarebbe stato troppo opprimente. Ripresi la mia giornata normale con la speranza di rivederle il giorno dopo. Puntuali come un orologio le vidi spuntare all’inizio del bagno 49 dove come me avevano prenotato ombrellone e lettini.

Prontamente mi alzai per andar loro incontro e salutarle, anche se l’obbiettivo era sottrarre la carrozzina alla madre che arrancava ansimando per lo sforzo. Infatti mi rendevo conto di quanto amore aveva per la figlia perché, portare una persona con disabilità in carrozzina al mare, è un’esperienza che richiede forza, parecchia attenzione e adeguati ausili, quest’ultimi purtroppo ridotti al minimo. Le sentivo parlare senza capire nulla di ciò che stavano discutendo nonostante le loro voci non fossero fra le più sommesse. In un momento di incrocio di sguardi, Martina mi fece cenno di avvicinarmi a lei e mi chiese se ero venuto al mare solo per abbronzarmi o se mi piacesse fare anche il bagno in quanto non mi aveva mai visto abbandonare il lettino. Gli risposi che al pomeriggio l’acqua era più calda, pertanto, trovavo meno fastidioso tuffarmi. Era un inizio per portare l’attenzione su di lei, anziché ascoltare la madre sempre tanto prolissa. Spontaneamente le chiesi se avesse mai provato il desiderio di andare in acqua. No, fu la risposta, ma la voglia è sempre stata tanta! Anche se per te sarà impegnativo e stressante? Ribattei. Lo so, non ho mai provato ma, con l’aiuto di qualcuno, io sarei tentata a rischiare.

Così decidemmo con la madre, dopo essermi accertato che ci fosse il job per disabili di rimandare il bagno. Non so in quell’intervallo di tempo cosa si dissero, sta di fatto che la mattinata successiva all’ora stabilita erano lì. Sul loro viso era percettibile un po’ di apprensione ma pronte ad affrontare questa nuova esperienza. Caricai Martina sulla sedia mare e ci dirigemmo verso l’acqua afferrando al volo il mio salvagente portato per trastullarmi fra le onde. L’acqua aveva una temperatura ideale.
Pian piano la calai in acqua, il suo viso era un po’ contratto dal momento che per la prima volta si sentiva sospesa tra acqua e cielo poi, a poco a poco, cambiò espressione e facendomi un sorriso disse: Ma è meraviglioso! Acquistata fiducia la feci scivolare nel mio salvagente, le braccia la sorreggevano senza dare ombra di tensione per lei e allarmismo per me. La madre dalla spiaggia controllava facendo trasparire soddisfazione e compiacimento della scelta anche se ero sicuro che un po’ di apprensione ce l’aveva. Dopo tutto affidare una figlia a una persona sconosciuta solo una situazione come questa sblocca ogni inibizione o timore. Dopo circa un’ora in mare di puro divertimento e sorrisi che dedicava a tutti con enfatica soddisfazione, un cenno della madre ci fece capire che dovevamo uscire così, con delicata energia, la portai verso gli spogliatoi per le necessità di cui aveva bisogno.

Rimasi li ad aspettarla e quando fu pronta, in uno stato emotivo incontenibile, mi coinvolse raccontandomi tutte le sensazioni che aveva provato.
Eravamo tutti felici specialmente la madre che non si sarebbe mai aspettata di farle provare un’esperienza ripagata da così tanta gioia.
Prima di andare a ripulirmi dalla sabbia Martina azzardò una sottintesa richiesta: Domani? Io le feci un cenno alzando il pollice confermando che sarei stato disponibile a riprovare. Oramai sapevo come fare così, per altri due giorni, gli feci provare l’emozione del bagno in mare. Purtroppo tutto ciò che inizia ha sempre una fine in quanto, per me arrivò il giorno che dovevo partire mentre per Martina mancavano ancora alcuni giorni per la visita. Fu l’ultimo bagno che facemmo insieme e non so cosa provò lei mentre, sorretta dal salvagente, mi abbracciò lasciando cadere una lacrima.
Contraccambiai l’abbraccio sussurrandogli all’orecchio alcune parole di circostanza e con un’ultima espressione affettiva le dissi: “Non scorderò mai questi momenti in tua compagnia e ti ringrazio per avermi dato l’opportunità di conoscere realtà a me sconosciute”.
Sbrigate le ultime formalità salutai lei e la madre e ritornai a vivere la così detta normalità.

Dopo quell’incontro riflettei molto su ciò che mi era accaduto aiutandomi a cambiare modo di pensare e di agire nonostante, alcune volte, mi passavano per la testa dubbi e incertezze che mi creavano interrogativi senza risposte. Avrei potuto avere anche con altre persone lo stesso comportamento o le avrei ignorate? A volte ignorarle può risolvere tutte le tue preoccupazioni per tentare di entrare in rapporto con loro. Non vi ho mai parlato di Martina se era bella o brutta, diciamo che era una bella ragazza, ve ne parlo ora perché è uno dei dubbi più ricorrenti che ho; se fosse stata brutta, non poteva esprimersi, se aveva un corpo deformato sarei stato così altrettanto disponibile a dare anche solo una parte di quanto avevo dato a Martina? Alla fine quel che conta è avvicinarsi a queste persone, non importa le modalità o lo stato in cui la persona si trova perché oggi più che mai hanno bisogno di noi cosiddette persone “normali”.
Luciano Binosi

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