Anni fa stavo leggendo un libro ‘leggero’ (insomma, non era “Guerra e pace” ma un Harmony ereditato da mia sorella che si era sposata) e avevo trovato una cosa che, lì per lì, mi aveva fatto sorridere e poi disgustare. La stessa cosa, oggi, a distanza di anni e con la maturità raggiunta, mi fa sorridere ancora ma mi sembra un’idea quasi realizzabile. Vi riassumo brevemente la situazione: la protagonista, in volo dall’America verso la Francia, trova come compagno un aitante giovanotto e, scherzando, dice: “Sarebbe bello se ognuno di noi avesse appeso al collo un cartello con su scritte le informazioni principali, così la conversazione tra due sconosciuti avrebbe già un punto di partenza e non si sprecherebbe tempo vanamente”. Inutile specificare che, alla fine del libro, i due si sposano e lui, in viaggio di nozze, le mette effettivamente un cartello al collo, sul quale c’è scritto “innamorata e felice”. Al momento, ripeto, l’assurda proposta mi era sembrata una stupidaggine senza senso perché ritenevo che le persone debbano conoscersi solo parlandosi, senza pregiudizi. Oggi, dopo aver commesso alcuni sbagli importanti e una manciata di sbagli leggeri (ma assolutamente senza rimorsi perché in quel momento mi sentivo di fare ciò che stavo compiendo), ritengo che l’idea, per quanto provocatoria, non sia così assurda. Prima di correre a chiamare l’ambulanza e ricoverare questa povera ragazza che propone idee al limite dell’inverosimile, ragionateci un po’ e leggete come la penso in base alla mia esperienza. Viviamo nell’era dell’iper comunicazione ma non sappiamo comunicare. Questa idea non è mia, ma è un dato di fatto, basta guardarsi attorno: ci sono mille e un modo per parlare e ascoltare ma non siamo più in grado di parlarci ed ascoltarci tra noi in presa diretta, con il risultato che ci si conosce poco e male, tanto che spesso si creano malintesi e incomprensioni. Parliamo di me (giusto perché sono poco egocentrica): 25 anni, quasi laureata, un lavoro che mi piace, single, tante conoscenze, alcune importanti (ma poche fondamentali), alla perenne ricerca di sentimenti veri, soprattutto nella vita di coppia. Caratteristica principale: la fame di vita. Dopo anni passati a vedermi passare davanti le cose più belle senza avere il coraggio di allungare la mano anche solo per sfiorarle, mi sono data della scema e ho intrapreso un percorso che mi sta portando alla quasi felicità. In una parola, mi sono data una scossa. Voi direte: ma cosa c’entra questo con la storia del cartello? C’entra e vi spiego perché. Questa mia fame di vita mi porta ad accelerare moltissimo le cose, a viaggiare sempre al massimo, a farmi coinvolgere da tutto e da tutti, cogliendo il bello di ogni singolo elemento. Dietro tutto questo, c’è un percorso esistenziale ben definito e, comunque, una persona molto riflessiva e razionale…non sono una scavezzacollo, anche se parto in quarta e mi lancio. Prima del volo, valuto bene i pro e i contro, prendo bene le misure e chiedo pareri. Poi mi lancio senza quasi paura. Questa riflessione, però, avviene in silenzio, senza che nessuno quasi lo capisca, mentre io osservo dettagli e colgo particolari sempre più precisi (ecco perché, ogni tanto, sembra che me ne vado nel mio mondo parallelo). Chi mi conosce veramente, lo sa e comprende. Chi mi ha appena conosciuto, invece, non capisce, si spaventa e, possibilmente, scappa, lasciandomi un po’ confusa. Io ho cercato di moderare questo mio aspetto (che, soprattutto nella relazione a due, può diventare negativo), mitigata da chi mi conosce bene e mi dice “Vai tranquilla”…ma non sempre ci riesco e mi lascio travolgere! Ecco il perché del cartello, così la gente sa come sei fatta e si evitano tanti musi lunghi o facce interrogative… Ovviamente sto scherzando, ma sarebbe veramente bello riuscire a comunicare di più…conoscersi, tirar fuori da sé il buono e il cattivo…parlare e, soprattutto, saper ascoltare gli altri, come faceva Momo, quella del famoso libro di Micheal Ende. Chattiamo, inviamo e-mail e sms, ci telefoniamo, conosciamo ciò che accade nel mondo in presa diretta ma non conosciamo noi stessi e la nostra realtà quotidiana: pensiamo che ciò che abbiamo ci basta per essere felici almeno per un po’ e tiriamo dritti. Il provocatorio ‘cartello’ può servire agli altri per conoscersi ma anche a noi stessi per ricordare chi siamo e perché siamo così e magari per migliorarci. Voi cosa ne dite? Ce la faremo mai a parlarci senza urlare e a dire ciò che pensiamo e proviamo? Senza falsi pudori o pregiudizi, senza un filtro che può essere uno schermo o anche quella naturale ‘barriera’ che ognuno di noi può costruirsi in difesa del proprio mondo, senza prendere troppo sul serio le cose che vanno prese in allegria ed essendo seri quando invece la situazione lo richiede. Mah. Io continuo a provarci…a rischio di spaventare ancora tanta gente…pensandoci bene, potrei attaccarmi un cartello con su scritto: “Attenzione! Non mordo: dietro la corazza che ti travolge, c’è un animo buono e dolce”. Magari funziona…! Pamela