Rimani sempre aggiornato! - Scarica l'App di New Entry!

“THE BAY”

Il tema della trasmissione di virus letali ha dominato gli schermi più volte nel corso degli anni. Dal recente Contagion (2011), a quando il nostro pianeta viene debellato dalla minaccia epidemica in Mimic (1997), o al meteorite caduto in una cittadina dove, chi lo trova, viene posseduto da un parassita alieno (Slither, 2006), senza tralasciare Bug insetto di fuoco (1975) e la sua serie di incendi, conseguenti ad un terremoto e provocati, anche loro, da insetti di varia specie. Oggi, a provare ad inquietarci, ma con risultati fallimentari, è un batterio carnivoro che sta infestando la tranquilla baia di Chesapeake (l’insenatura dell’Oceano Atlantico, lungo la costa orientale degli Stati Uniti). Il rischio è elevato: l’aggressione alla specie umana, provocando prima un’infezione e poi emorragia di sangue, rischia di condurre addirittura alla perdita di un arto. Oltre al fatto che un provvedimento deve essere preso nel giro di ventiquattro ore; diversamente la morte è garantita. E guarda caso al Sindaco della cittadina, troppo impegnato con i festeggiamenti del 4 luglio (come succede con “Lo squalo”, “Piranha” e affiliati vari), la cosa sembra proprio non interessare. Una serie infinita di pesci sterminati viene ritrovata lungo le spiagge. Nessuno sa la ragione. Il suo nome è Cymothoa Exigua: un parassita che, penetrando nel corpo dei pesci attraverso le branchie, distrugge tutto ciò che incontra e arriva addirittura, con il proprio corpo, a sostituirsi alla lingua della povera preda.
Partendo da questa premessa e portandola un po’ all’esasperazione, prende il via The Bay, con il suo disastro ecologico e mortale. Convinto che sia meglio fondere le vicende in un format narrativo e girare il film con il piglio del documentario, il regista si cimenta con un budget contenuto, non si serve di attori famosi e impiega camere commerciali per rendere il linguaggio visivo autentico del filmato amatoriale.
Tecnicamente si parla di found footage: vicende raccontate con, alla base, video e audio rinvenuti post eventi narrati (l’apripista fu, nel lontano 1999, The Blair Witch Project, seguito dai vari Paranormal Activity con i loro inspiegabili sequel. Tra l’altro i produttori di questo encefalogramma piatto, sono nientemeno che questi ultimi). Quello che colpisce, sinceramente, è come un regista Premio Oscar, sceneggiatore, produttore e attore, dalla reputazione invidiabile nell’industria cinematografica, capace di fondere visioni colte e intelligenti (il Barry Levinson dei memorabili Rain Man, Good Morning Vietnam e Sesso & Potere), abbia deciso di cimentarsi in una storia che non intrattiene e non spaventa per nulla (forse il genere imperversa un po’ troppo negli ultimi anni) e che non si sottrae agli stereotipi della categoria. L’intento di manipolare il nostro terrore si risolve, in fin dei conti, in un risultato disturbante (e non nel senso di come lo avrebbero voluto gli autori). Un tentativo, quello di Levinson, che rimane decisamente in superficie; anche se il terrore vorrebbe arrivare dal profondo.
Al di là della ripetitiva sensibilità verso tematiche ecologiste, la situazione narrativa (votata ad una chiara semplificazione), ci porta dritti al consueto finto/pseudo terrore che viene dall’acqua. Chi cerca l’horror, si mantenga alla larga. Lo stesso consiglio per chi ama l’acqua. Magari è meglio un bel tuffo in piscina. Più sicura.

Condividi