Ha avuto grande partecipazione di pubblico il 3° appuntamento di SCOPRIAMO MONTICHIARI, a cura di PRO LOCO MONTICHIARI, nell’incantevole e suggestivo anfiteatro sul retro della Pieve di S. Pancrazio, con un inizio serata illuminata da uno spettacolare tramonto, fino al buio notturno punteggiato di luci di Villa Monti e del borgo sottostante. Affascinante la Pieve nella sua semplice e intima atmosfera. Relatore il Prof. Mario Fraccaro (ex sindaco, ex direttore e dirigente scolastico) accompagnato dai Maestri Alice Boccolo al violino e Massimiliano Giovanardi al pianoforte, che hanno eseguito brani suggestivi medievali e moderni; letture a cura di Angiolino Filippini e Cecilia Agnelli. Breve intervento del sindaco Togni che ha ringraziato tutti i volontari che organizzano questi interessanti interventi.
Il dott. Fraccaro ci ha immerso nella vita medioevale monteclarense, citando fonti di storici locali, (Albino Miceli, Daris Baratti, Angelo Baronio, ecc…) e soprattutto Mons. Angelo Chiarini, che con le sue ricerche ricostruì la storia della Pieve contestualizzandola nella vita della popolazione di quel periodo, tra realtà e leggende. Tra i monumenti romanici la nostra Pieve (da plebs-popolo) è tra le più antiche: nata nel V- VI° secolo, raggiunse l’apice della sua importanza nel XII°sec.
Nel 1167 venne ufficialmente dedicata a S. Pancrazio, giovane martire venuto a Roma dalla Frigia, convertitosi al cristianesimo e martirizzato durante la persecuzione di Diocleziano. L’iconografia lo rappresenta a cavallo, impugnante un vessillo bianco crociato al posto della spada o della lancia, simbolo della fede professata col martirio. Il suo culto si diffuse presto lungo le vie consolari in tutta Europa, vie dell’Impero Romano che permisero il diffondersi del cristianesimo in Occidente.
La popolazione del nostro territorio era principalmente formata da gente umile, addetta alla coltivazione della terra e alla pastorizia. Le condizioni di vita dei contadini erano miserevoli, con scarsa quantità e qualità di cibo, limitato a cereali e verdure selvatiche o del proprio orto, vino scadente, allevamento di animali domestici, ma la carne e i suoi derivati erano solo per i nobili; c’era sempre tanto lavoro, tranne in gennaio dove soprattutto gli uomini potevano riposarsi.
D’inverno persone e animali convivevano e questo era causa di varie malattie, per superare le quali invocavano i Santi Guaritori o si rivolgevano a maghi e fattucchiere. Il popolo ha tramandato solo testimonianze orali: analfabeta, era privato di tutto, doveva pagare molti tributi ai Conti Longhi, che in tal modo lo sottometteva e lo manteneva in estrema povertà.
C’era un’alta mortalità infantile, pestilenze, fame, guerre, ma qualsiasi potesse essere la causa di morte, la chiesa proibiva le autopsie; la morte infatti era vissuta in modo naturale e con ugual dolore sia per i ricchi che per i poveri.
La chiesa ufficialmente imponeva molte proibizioni anche per la sessualità, ma nel privato ognuno si comportava come voleva, salvo poi confessarsi e sottoporsi a penitenze molto severe! In questo contesto la Pieve, dall’alto del colle, orientata ad est, verso la luce di Cristo, era riferimento religioso per tutti i paesi della bassa bresciana.
Di questo periodo sono le Bolle di Vescovi bresciani e di Papi che riconoscevano beni e diritto di riscuotere 1/3 delle decime dei raccolti su cui la Pieve aveva giurisdizione, oltre ai pesanti tributi dovuti ai Conti. Nel XII sec. sorsero nelle 4 contrade principali del paese (le quadre) 4 chiesette, poi aumentando la popolazione anche i paesi limitrofi si costruirono ognuno la propria chiesa, ma la Pieve rimase la più grande e la più importante di tutte.
Nel XV sec. la costruzione dell’attuale Duomo di S. Maria Assunta relegò la Pieve a chiesa patronale, lasciandola al degrado. Tra il 1960 e il 1995 il Senatore Pedini e Mons. Chiarini, con l’associazione “Gli amici della Pieve”, furono promotori del suo restauro. All’interno sono presenti affreschi del XIV e XVI sec., tra i più importanti un grande affresco del Romanino e di Callisto da Lodi.
Ornella Olfi
Fotografie di Daris Baratti