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SOGNO O SON DESTO?

Ettore ha un buco nelle vecchie scarpe da ginnastica, proprio sopra l’alluce che ogni tanto fa capolino per osservare il mondo. Cammina con le mani in tasca, a passi lenti lungo un mattino uguale a mille altri, diverso da mille altri. Ettore non si ricorda l’ieri, e nemmeno sogna il domani. Ha occhi pieni di sogni rimasti imballati negli scaffali della mente: avrebbe voluto regalarli avvolgendoli in carta rossa legata con nastrini dorati, ma non ha mai avuto la possibilità di incontrare un pozzo d’innocenza cui destinarli. Ettore guarda un gabbiano alzarsi dalla spiaggia con eleganza, nel becco un mollusco e sulla punta delle ali lo scintillio del sole bambino. Una volta anche le sue braccia erano ali, che lo portavano oltre le cime più alte, oltre gli oceani più vasti. Era instancabile, ed insaziabile di nuove scoperte. I denti candidi sempre scoperti al sorriso quando mordeva lembi di nubi di zucchero filato, o quando, stanco, sedeva sulla cima della più alta montagna per addormentarsi sognando le stelle da raggiungere domani.

Ma Ettore ha cancellato la lavagna dei ricordi. Guarda le impronte che le sue scarpe disegnano sulla battigia, un attimo prima d’essere portate via dall’onda. Guarda dentro il mare, alla ricerca degli argentei riflessi dei pesci che sembrano invitarlo ad unirsi a loro, in un infinito blu di smarrimento fra morbide carezze d’alghe ipnotizzanti. Guarda un tronco portato da mondi lontani, sagomato come una sirena muta priva di forze ed abbandonata alle correnti dello spazio. Sorride, Ettore.
Non sa perché, né se lo chiede. Sorride al buco nelle scarpe, all’ombra del gabbiano stagliata sugli scogli, al timido passo sghembo del granchio, ai lembi di notte che gli sono rimasti appesi ai vecchi abiti, ad una risata lontana.

Sorride, e si siede per ascoltare una storia, una nenia portata dalle onde…
Ettore siede sui talloni, scrivendo poesie sulla sabbia con un rametto di corallo portato dagli abissi. Le parole che scrive sono rosse, luminose, a parlano della sua vita. Non è irato con le onde che le cancellano appena accennate. E’ giusto così, pensa, perché così è anche la sua vita. Una riga accennata, e subito sfumata dalla clessidra impietosa della realtà. Scrive al presente, perché è l’unico tempo che conosce; e nel suo presente si fonde tutta la sua esistenza: vivono contemporaneamente fiocchi di neve e petali di ciliegio che volteggiano nell’aria per ricoprirlo con dolcezza quando dorme accanto ad un ruscello, vivono entusiasmi da bambino e dolori da adulto fusi in poche, incerte parole a lui solo note.

Non è rassegnato, Ettore.
Lotta per conservare il sorriso del risveglio, anche se il risveglio è freddo come le nuvole di piombo di un giorno d’inverno. Afferra i pensieri imprigionandoli in delicate gabbie d’oro, da dove però sfuggono perché non ha il coraggio di chiudere la porticina che li terrebbe incatenati. E allora scrive poesie affidandole al capriccio del mare, con parole scarlatte vergate con un rametto di corallo rosso come il dolore che non lo ha mai abbandonato…
L’onda ha orli di panna e smeraldo. Ha percorso miglia e miglia da quando ha iniziato a galoppare con inesauribile vitalità. Ha giocato coi delfini ed è scivolata sotto chiglie ignare, ha raccolto i tuffi dei gabbiani ed ha trasportato stanchi albatros disingannati. Ha annodato alghe e nuvole riflesse, ha respirato caldi alisei ed ha dormito inargentandosi di luna.
Non ha mai conosciuto limiti. L’orizzonte era immenso. E suo. E’ cresciuta, poi rimpicciolita, poi ancora cresciuta, come il respiro calmo di un gigante tranquillo. Ed ora un ostacolo si profila. Una lingua di terra, bianca nella sua timida presenza. Curiosa l’onda si avvicina. Nuovi colori, nuovi suoni, nuove vibrazioni increspano la sua superficie. E mentre si avvicina cresce, raccogliendo spinta e forza per l’ultimo balzo dopo il suo lungo viaggiare.
E si rompe sulla sabbia che l’accoglie come un vecchio amore mai scordato. Nel frangersi, legge parole scarlatte.
Allora si acquieta. Si fa piccola, e torna lentamente sulla rena compatta, dove altre parole, nel frattempo, vengono scritte. E legge, e cancella. E torna. E legge. E rabbrividisce.

I suoi brividi si fanno vibrazioni, le sue vibrazioni suono. E il suono viaggia nell’acqua, si trasmette agli anemoni che danzano di sconosciuta gioia, si trasmette ai coralli che risuonano d’argento, si propaga dove il sole si arrende, e viene udito da calmi respiri di saggezza millenaria. E le balene intonano il loro canto, e portano in ogni angolo del mondo le parole scarlatte vergate con un rametto di corallo.
Ettore, accovacciato sui talloni, sorride, e scrive la sua infinita poesia…
Viola ha due amici: un flauto senza fiato ed un delfino senza mare. Viola ha gli occhi colore dell’alba, che guardano oltre la linea dell’orizzonte dipinto sulla parete della sua stanza.
Viola ascolta le voci portate dalle notti passate ad ordinare, in piccoli pacchettini colorati, ricordi e rimpianti. Suona il flauto, e le note mute rotolano lungo le pareti per avvolgerla in un bozzo di seta impalpabile, intessendo un vestito d’attesa. Pensa. Mentre col corpo danza al ritmo della sua musica cieca. Inarca la schiena, le spalle, sollevandosi sulla punta dei piedi e poi raccogliendosi come un feto, di nuovo flettendosi, di nuovo riavvolgendosi su sé stessa. Le dita lunghe e magre, pallide di luna, chiudono ed aprono i piccoli buchi dell’anima metallica, e accompagnano i suoi passi incontro all’amico che attende sulla soglia.

Viola non è felice. Viola non è infelice.
Ha pianto, un giorno.Ha riso, un giorno.
Ha urlato, un giorno di tempesta che le ha strappato la vita. Parla al delfino, ed il delfino raccoglie le gocce del suo dolore per immergerle in mari sconosciuti. Oggi il delfino le racconta di parole nuove, cantate dalla bianca balena dei ghiacci. Oggi il delfino le mormora una poesia infinita scritta con un rametto di corallo da un uomo che sorride.
E Viola ascolta rapita…
“Perché Tu sei l’acqua che io voglio bere,
abbandonato sul tuo petto di rinascita.
Perché i miei passi non conoscono strada
che non sia quella che Tu hai percorso.
Perché ho piegato i raggi del sole
per costruire un ponte per le nostre mani
oltre l’infinito delle notti sole
oltre il silenzio di ieri scordati.”
Mormora, il delfino, le strane parole.

Viola lo segue, muovendo passi incerti verso le onde. Poi danza col flauto, i capelli di vento e gli occhi socchiusi.
E il flauto ora canta, legando parole e note per modulare un sospiro vestito di nuovo, che scivola leggero sulla cresta del mare, sulle squame argentate dei piccoli pesci e sui fianchi possenti del bianco gigante dei ghiacci. Viola, danzando, va verso il destino.
Ettore alza il capo dalla sabbia, e negli occhi colore passato remoto s’accende una fiamma scarlatta di corallo e d’argento…

Viola aveva un buco nell’anima, che ha riavvicinato i suoi orli frastagliati quando ha rattoppato un buco in un paio di vecchie scarpe da ginnastica. Ettore rimira le sue scarpe diventate serie. Era affezionato alla loro risata sguaiata, e il pollice soffre un po’ la prigionia cui non era più avezzo, ma non se ne dispiace.
Viola ed Ettore siedono sulla spiaggia, e non parlano. I pensieri di Viola si colorano attraverso il flauto per gli occhi di Ettore, che hanno lasciato il color del passato.
Il rametto di corallo scrive note scarlatte sullo spartito di sabbia e le onde le afferrano per portarle, raccolte in piccoli grappoli, al delfino che attende cullandosi al largo.

Viola ed Ettore non sognano il domani, ma costruiscono piccoli istanti di presente fra una nota ed una parola affidata agli alisei, perché sanno che, comunque, non saranno mai soli, sanno che non saranno mai uniti; saranno un’orma lasciata sulla rena, saranno un sospiro della marea, saranno un’ala di gabbiano, saranno un canto nelle notti di luna dimenticata, saranno leggende di marinai addormentati fra le fluttuanti braccia della poseidonia, saranno un’onda ed uno scoglio, saranno presente senza tempo, saranno due mani attraverso il ponte che unisce le loro vite, saranno…
Viola ed Ettore hanno scritto i loro nomi sulla sabbia. L’onda sorride, e non li cancella.
Anoide

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