Tante volte ho provato a immaginare Praga.
Una città splendida incastonata nella Mitteleuropa, uno scrigno d’oro messo lì apposta per frugarci dentro con malcelata curiosità. Me lo avevano detto: “Praga non può non piacerti”. Nel mio essere bastian contrario, avevo aspettative alte, pronte ad essere smentite, deluse, stracciate e spazzate via da un semplice: “sì, vabbè, bella, ma alla fine sono le solite esagerazioni”.
Ero pronto da subito: del resto mi era successo con Vienna, che guadagnò granelli di fascino ai miei occhi solo per la coltre di neve e una piazza romantica. Poi basta.
Ero pronto a smentirvi.
Salvo strozzarmi le parole in gola ad una prima occhiata, e far uscire il fumo dal naso a causa della temperatura sotto lo zero. Il freddo pungente ci avvolge appena scesi dalla Skoda del nostro autista, che ci aveva aspettato all’aeroporto munito di cartello con cognome. Un tipo silenzioso che andrebbe bene per interpretare il gelido killer dell’est coi guanti neri di pelle, insomma uno di quegli uomini spietati che non lasciano tracce e che danno filo da torcere all’agente James Bond.
Due passi su un ponte sconosciuto, sferzati dal vento carico di neve caduta da poco, ed è già incanto. L’indomani mattina, la neve si fa ghiaccio, le persone scivolano senza appello, io cammino frenato come se fossi sui pattini o su un paio di sci. Un bravissimo regista non avrebbe saputo fare di meglio neanche con gli effetti speciali: perché qui è tutto vero. Molto spesso andiamo a cercarci le fiabe di cartone in qualche parco dei divertimenti: i castelli, le guglie, la nebbia che li avvolge, i tetti spioventi neri. E invece a Praga tutto questo è reale, tangibile, autentico. Ecco che cos’è Praga: una fiaba senza tempo.
Anzi, il tempo c’è. Lo scandisce uno smisurato orologio d’oro nella piazza di Starè Mesto, la città vecchia. Ad ogni ora, uno scheletro suona la campana, alcune statuine escono da una nicchia, un trombettiere (vero) suona dall’alto della torre. E la gente applaude. Se preferite, il tempo lo scandisce un enorme metronomo appoggiato sulla collina di Petřín per sostituire una decrepita statua di Stalin, che qua il comunismo l’hanno messo in soffitta e ci hanno buttato anche una tonnellata di oblìo sopra.
Praga si dipana tra le sue stradine antiche, sui suoi lunghi ponti, lungo la Vltava o Moldava, che è un fiume grandissimo, pieno di isole, largo all’incirca come il Tevere e la Senna messi insieme.
A Praga ogni scusa è buona per suonare. Se senti musica provenire da un locale, da una chiesa, da una sinagoga, da un angolo di strada, da un campanile altissimo, stai pur sicuro che qualcuno sta suonando uno strumento. Che siano soltanto voci, una tromba, alcuni bicchieri di cristallo, un banjo o un raffinato piano jazz. Persino i palazzi ascoltano e ballano: è il caso della fotogenica casa danzante di Frank Gehry, un celebre strampalato architetto che ha fatto senza dubbio cose migliori a Barcellona e Berlino. La Cattedrale di San Vito è forse la chiesa più spettacolare che abbia mai visto.
Guglie altissime, gargoyles che sputano acqua piovana, vetrate art-nouveau di Alfons Mucha, un’imponente tomba di argento lucido e una miscellanea di stili lunga seicento anni. Quanti ce ne sono voluti per finire questa chiesa delimitata tutto intorno dal borgo del castello.
Il castello racconta di re, di aristocratici collezionisti di opere d’arte, di defenestrazioni, atroci torture, guerre, regimi e feste per la ritrovata libertà, tutto in una volta sola. Per un certo periodo anche Franz Kafka visse qui, in un’angusta casetta del Vicolo d’Oro, ospite della sorella. Ma Kafka è presente un po’ ovunque in città.
Una statua kafkiana sia perché rappresenta Kafka, sia perché assurda, si trova proprio accanto alla sinagoga Spagnola, la gemma moderna dell’antico quartiere di Josefov.
Josefov custodisce il cuore ebraico della città vecchia, in un percorso composto da cinque sinagoghe e un cimitero antico con le lapidi ammonticchiate e spruzzate di neve bianchissima.
Qui si respira la storia esattamente come sulla berlinese Friedrichstraße: le tradizioni ebraiche, la vita del ghetto, l’orrore delle deportazioni al campo di Terezìn.
Il cammino riprende con gli occhi sempre spalancati ed incantati ad ogni passo, come raramente capita in una città. E lo dico io che sono romano. Chiese, ponti, torri, chiese, turisti, gabbiani, pioggia, isole, teatri, chiese, odore di cibo, cielo grigio sempre, souvenir kitsch, statuine del Bambinello di Praga, chiese, oro sui palazzi, la piazzetta dell’Ungelt, Alfons Mucha e l’art nouveau, chiese, musica a non finire. Mai. Segui la musica e puoi trovarti accanto ad un conservatorio nel quartiere di Malà Strana oppure sul Ponte Carlo, mentre, rapito da un istantaneo tramonto fatto di nebbia, ti perdi tra una foto ricordo di qualche statua affacciata sull’isola di Kampa e un panorama da mozzare il fiato. Praga sa coinvolgere turisti e abitanti in un tourbillon d’arte senza pari. Perché non c’è un angolo che non racconti qualcosa, perché gli angoli sono stretti e il filo non lo perdi mai.
Perché è sera, passi sotto un portico per ripararti dalla pioggerella insistente e noti una grande vetrina: è il museo della musica, e dietro quel vetro sta suonando un’orchestra. Ogni piazza (náměstí) racconta una storia: dalla scenografica Staroměstskè alla elegante Malostranské, dall’austera Vàclavskè (Venceslao) fino alla particolare Republiky, sospesa tra il cinguettante stile liberty dell’Obecní dům (la casa municipale) e un ingombrante edificio bancario comunista. Solo a Praga può venirti in mente di trascorrere la sera del tuo trentottesimo compleanno a teatro. Il teatro nero, arte antica che proviene dall’Oriente e che nei secoli ha ammaliato la Boemia. Scegliamo una rivisitazione di Alice nel paese delle meraviglie in salsa praghese: atmosfera retrò, niente parole, magia, pantomima, spettacolari quanto poetiche marionette giganti, persone che volano, immagini di vecchi film, sul finale anche un paio di attrici in topless apparentemente fuori contesto e, naturalmente, tanta musica. Da Dvořák a Smetana a compositori contemporanei (ascoltate l’on the air). Ok, scendiamo di un gradino e planiamo dolcemente sul prosaico.
Un capitolo a parte lo meritano i bagni pubblici: fa freddo, bevi molto, passi ore in giro. Che tu sia incontinente o meno, ti capiterà di finire in un bagno pubblico per strada, all’interno di un luogo da visitare o in un locale. A Praga, qualsiasi bagno è custodito e mediamente pulito, ma se non hai almeno una monetina da 10 corone (oppure 40 o 50 centesimi di euro, a seconda del ricarico del posto) in tasca, non puoi entrare. A noi è capitato di pagare persino da Burger King (ma non nei ristoranti).
C’è tutto un mondo che non sai: donne di ogni età tengono il loro tempio quasi sempre pulito e profumato, tanto da farti pensare che questo sia un lavoro piuttosto gettonato qui. Tanto da farti pensare che se volessi scrivere qualcosa su Praga, potresti cominciare intervistando quattro o cinque di queste donnine dotate di secchio, straccio e televisore. Il cibo ceco merita un altro capitolo a parte. Saranno i mercatini di Natale, ma lo street food praghese non teme confronti. Alla lunga c’è da temere il colesterolo, più che altro. Spiedini di patate fritte, bouquet di patate fritte, salsicce, wurstel, formaggio, vin brulè, grog, castagne, prosciutto di Praga arrosto, goulasch da consumare dentro il pane scavato, gnocchi con cavoli dolci e patate. Tutto squisito, ve lo assicuro. Poi c’è il trdlo, il dolce con il nome da codice fiscale. Il trdlo o trdelnìk o manicotto di Boemia è un megacannolo vuoto all’interno, composto da strisce arrotolate di pasta lievitata aromatizzate alla cannella e ricoperto di zucchero e granella di mandorla. A me, soprattutto caldo, è piaciuto tantissimo, anche se pare che l’originale non sia ceco, ma ungherese. Appunti sparsi: strade incantevoli, addobbi di Natale molto più belli e fini dei nostri, locali tutti curatissimi e dotati di wi-fi free, residence perfetto. Se ci andate e siete a Staré Město, non fatevi sfuggire (difficile, viste le dimensioni) le immense guglie nere della chiesa di Týn avvolte nella nebbiolina. Non le scorderete più. Tre giorni e mezzo bastano per vederla, forse non per capirla a fondo. L’inverno è complice e le dà un fascino che probabilmente in estate evapora un bel po’. Bella, bellissima. Me lo avevano detto: “Praga non può non piacerti”.
“L’ambigua città vltavina non giuoca a carte sco
perte. La civetteria antiquaria, con cui va fingendo di essere ormai solamente natura morta, taciturna sequela di trapassati splendori, spento paesaggio in un globo di vetro, non fa che accrescere il suo maleficio. Si insinua sorniona nell’anima con stregamenti ed enigmi, dei quali solo essa possiede la chiave. Praga non molla nessuno di quelli che ha catturato.”
(Angelo Maria Ripellino)