Siamo a Bormio, antica e ridente cittadina nell’alta valle dell’Adda al piedi dello Stelvio. Giuseppe Sormani, giovane elettrotecnico alle dipendenze dell’A.E.M. – Azienda Elettrica Municipale di Milano, è sceso qui anche questa volta nell’hotel Rezia – 5 stelle – il suo soggiorno in Valtellina dov’era periodicamente, lo vedeva impegnato nel controllo e manutenzione delle centrali idroelettriche della suddetta A.E.m., che riforniscono energia elettrica ai tram, metropolitana e illuminazione pubblica alla città di Milano. Nel periodo invernale delle “settimane bianche” Giuseppe si unisce spesso e volentieri ai giovani sciatori che trascorrono in allegria le lunghe sere d’inverno nella grande taverna del Rezia con giochi di società, gare di ballo, scacchi, indovinelli, enigmistica, rompicapo matematici… E si fanno le ore piccole. Una sera un gruppo di ragazze sciatrici milanesi hanno chiesto a Giuseppe: “descrivi qualcuno dei tuoi nuovi racconti così come ci hai divertito lo scorso anno. Siamo tutt’orecchi”. “Vi riassumo un fatto che risale a qualche anno fa, quando siamo andati in gita a Livigno nella zona franca per i soliti acquisti. Allora avevo qualche anno in meno ed ero più in gamba: un giovanotto dalle belle speranze insomma. Facevo la ruota come i pavoni e ballavo bene la mazurka. C’è poco da ridere, signorine mie belle! Nella mia qualità d’ispettore potevo scorazzare per tutta la Valtellina in lungo ed in largo. E vi giuro che se dovessi raccontare tutte le mie avventure amorose bisognerebbe prolungare l’inverno!” E le ragazze: “Cala, cala!”. “Dico solo per inciso che non andavo ancora nelle saune qui ai bagni Vecchi a sudare per curarmi i reumatismi. Ma dov’ero arrivato? Ah! Siamo dunque a Livigno e ci prepariamo per il ritorno a Bormio al Rezia. Ma corre voce che al Passo del Foscagno è scesa una grossa frana ed è impossibile il transito perlomeno fino a domani. E’ una sera particolare, lo sento. E’ quasi buio. E che si fa? Nelle locande e nelle pensioni locali non c’è più posto nemmeno nei sottoscala. Maledetta frana!!! Mi ricordo che alla vicina frazione di Trepalle, il paese più alto d’Italia con i suoi 2070 metri d’altitudine, c’è Don Angelo Parenti: titolare della parrocchia. Persona squisita e ritenuta da tutti i parrocchiani munita di grande vocazione a fare il Pastore delle loro anime. Guarda caso! Sapevo che anche lui gestiva una centralina idroelettrica per i bisogni della sua gente. Ci riceve con entusiasmo, felice di esserci utile, ma non ha una camera per ospitarci. Sa però che il figlio del farmacista Peloni di Bormio, quello che produce il famoso amaro Braulio, è anche lui bloccato, a causa della frana, nella sua villa qui a Trepalle assieme alla moglie Samanta. – “Siamo amici, vi accompagno!”. Il farmacista e la moglie accettano volentieri di ospitarci. Erano anzi entusiasti di poter trascorrere con noi una serata diversa. “Pastasciutta ai funghi porcini e vino Sassella della Valfurva”. Vedo nei vostri occhi un interrogativo. E’ vero! Ho fatto gli occhi di triglia alla bella Samanta, che non disdegnò anche se rimaneva impassibile. “Mi piaceva! Giovane e cordiale milanese doc. E a mio giudizio: molto navigata. La cena andava avanti nel migliore dei modi e quel vino mi aveva reso la parlata più facile tanto che, ho chiesto a loro come vengono chiamati gli abitanti di Trepalle” Subito il farmacista: “Fenomeni!!!”. E nell’entusiasmo ero tentato di fare anche piedino alla bella Samanta. Verso mezzanotte ci hanno accompagnato alle piccole camere con letti singoli pieni di freddo. “Non avete paura dei fantasmi?” mi chiede il farmacista: “Perché alla fine della guerra nel 1945 la villa venne sequestrata da ufficiali tedeschi in ritirata. E pare che da allora di notte facciano qui la loro comparsa fantasmi e diavolerie del genere”. Io, dissi: “Ho qualche paura solo nei confronti dei vivi”. Però alle pareti c’erano ritratti d’antenati uno più brutto dell’altro e nella stanza incombeva un silenzio di tomba. Fuori il vento sembrava cantasse le esequie a qualcuno. Aggiungete che, in più, a me faceva un po’ girotondo il campo per colpa di quel vinello. E come provavo a chiudere gli occhi sembrava che anche il letto cominciasse a volteggiare per la stanza. Il gruppo di ragazze che stavano ascoltando si strinse più vicino a Giuseppe con gli occhi sbarrati e curiosi. “E per quanto tentassi non mi riusciva di prender sonno. I fantasmi a poco a poco avevano preso la fisionomia di Samanta. E come mi succedeva sovente in questi casi mi tornava, come un tormentone, l’eco della canzone di Renato Rascel: Roma, non far la stupida stasera… damme ‘na mano a faje di de sì. Prestame tutte le stelle più brillarelle che puoi… e un friccico de luna tutta per noi. Faye sentì ch’è quasi primavera… destame i mejo grilli che fan crì crì.. Prestam’er ponentino più malandrino che ci hai, Roma, reggim’er moccolo stasera! Ad un certo punto mi parve di udire un leggero tòc tòc alla porta che subito di aprì. Il cuore mi fece un balzo! Chi è? “Sono io, non temere!”. Risponde una voce di donna: “Posso dormire con te?”. Ho subito dimenticato i fantasmi e il monto intero ed ho abbracciato quella vita sottile. Un primo lungo bacio degno veramente delle mille e una notte. “Sì, ragazze mie! Se non fosse stato per l’amore, credo che quella notte sarei morto dalla noia e dall’ansia di chissà che cosa!. “Ma che successe poi? E chi era quella donna?” – domandò una delle ragazze. “Era mia moglie. Alcune volte, quando nel programma c’era una puntatina a Livigno, veniva con me per gli acquisti nella zona franca”. Delusione totale da parte delle ragazze. “Avevi cominciato così bene. Ma hai finito malissimo! Caro Giuseppe, ci cascano le braccia e non solo! Ma che racconto è?!? Sarebbe come un bel piatto di spaghetti aglio e olio e mancante del peperoncino! Il solito copione che finisce immancabilmente a tarallucci e vino!”. “Ciò significa che voi avreste voluto che non si trattasse della mia legittima sposa? Ma che brave! Se adesso la pensate così, come farete dopo che avrete preso marito?”. “Le ragazze milanesi, a mio giudizio abbastanza furbe ed emancipate, ammutolirono e, persa ogni illusione, incominciarono a sbadigliare sonoramente. E a festa finita una delle ragazze, la più carina e la più strega, gli si avvicinò e gli chiese sottovoce: “E’ proprio finita così?”. “Per il quieto vivere ho dovuto finire così perché agli ascoltatori del racconto si era unita la signora Angelica, padrona del Rezia, molto severa in fatto di moralità e, se non proprio bigotta, dotata di gran timor di Dio. Mi guardava con supplichevole apprensione. E quindi tutta quella storia non poteva finire diversamente. Ma a te lo posso dire in segreto: non tutti i mali vengono per nuocere. Benedetta frana!”. Giuseppe Paganessi