Solo le SS sapevano cosa stava succedendo e solo loro sapevano qual era la destinazione di quel camion. Riguardai Ryan, lui appoggiò la mano sul vetro della finestra e poi la fece scivolare, io non potei fare altro che un sorriso. Le lacrime stavano appannando i miei occhi, ma non staccai lo sguardo da lui finché il camion si allontanò dal campo e la sua sagoma divenne piccola. Durante il viaggio all’altro campo cominciai a provare dei sentimenti per Ryan perché nonostante tutto lui si era comportato bene con me, come potevo non ringraziarlo, mi aveva salvato la vita parecchie volte e anche poco prima del mio viaggio al campo, cercò di farmela evitare. Ora che ero lontana da lui, mi mancava e così mi sentii testarda e stupida. Aveva ragione: in un campo di concentramento, io prendevo la mia vita come un gioco. Volevo morire su quel camion prima che arrivasse nella bocca dell’inferno e pensavo in continuazione: “Lüdeke mi riconoscerai? Morirò? Rivedrò mai Ryan?” Giunta al campo John ci aspettava per la selezione. Ci obbligò di spogliarci tutte, ma io non possedevo un numero e John l’avrebbe sicuramente notato. Ad un certo punto vidi sulla soglia degli appartamenti dei nazisti, Lüdeke, con quell’aria da principino che aveva da quando era diventato fratello di una SS. Cominciai ad agitare freneticamente le mani come avevo fatto la sera in infermeria, cercando di farmi riconoscere. Lüdeke dopo qualche secondo mi notò e mi riconobbe, io, ancora vestita, alzai la manica del vestito facendogli notare che non possedevo il numero. John si perfezionò davanti a me, spalancò gli occhi e mi strappò la collanina d’oro che portavo al collo poi mi ordinò di togliere i vestiti. Non potevo, non avevo un numero, avevo anche la fasciatura alla spalla e se mi avesse ordinato di togliere la sciarpa che tenevo sopra il capo mi avrebbe di certo riconosciuta e non mi avrebbe spedito direttamente nella camera a gas, mi avrebbe torturato e stavo mettendo a repentaglio la vita di “mio fratello”. Lüdeke gli andò vicino e gli disse qualcosa sottovoce, John annuii, Lüdeke mi prese per mano e mi fece entrare nella sua stanza ed io lo ringraziai immensamente per avermi salvato la vita. Lüdeke mi chiese come mai ero vestita da prigioniera ed io gli risposi che la mia vita non aveva un senso, che la mia presenza portava squilibri nella vita di Ryan. Lüdeke dopo che gli ebbi raccontato tutto mi disse:-Se resterai così John verrà a scoprire tutta la verità, tu mi hai aiutato a vivere, tu mi hai trasformato in una persona e non in un animale e tu porterai avanti questo progetto di vita. Fallo per me. Squilibri nella vita di Ryan? Ti sei innamorata, ora vai, prenderò un’altra prigioniera come domestica personale-. Lüdeke aveva ragione così, dopo essermi lavata e dopo aver mangiato pane e pollo allo spiedo, fuggii verso il campo femminile, indossando una nuova divisa nazista.Arrivata al cancello, il faro che i nazisti facevano ruotare per tutto il campo la notte, mi mise a fuoco. Dei soldati corsero verso di me ed aprirono il cancello, io spiegai loro che John mi aveva convocato per cambiare qualche orario di lavoro. Piano, piano entrai nella saletta al piano di sotto per andare nella mia camerata, accesi la luce e vidi Ryan. Alzò lo sguardo e mi scorse :-Ryan- sussurrai -mi dispiace così tanto volev…- :-Ssshh- mi rispose mettendomi un dito davanti alla bocca. L’odore del muschio bianco e il suo tocco mi procurarono un brivido alla schiena, abbassai lo sguardo e mi diressi in camera mia.
continua-20
Marta Ravasio