Ho 23 anni e sono un’infermiera, ma non voglio parlarti di me. Voglio parlarti di NOI.
Noi infermieri siamo ultimamente sotto i riflettori, purtroppo in negativo, anche per colpe non nostre e questo mi fa sentire profondamente aggredita. Prendiamo il caso di Nola, qualche settimana fa: tutti a puntare il dito contro il personale sanitario del pronto soccorso.
Eh certo, facile. Ma quanti sanno che quel giorno sono stati chiusi due pronto soccorso di ospedali vicini e che tutta quella gente si è riversata lì? Quanti hanno pensato che il personale (già scarso per il carico usuale) si è ritrovato a dover prestare cure ed assistenza al triplo dell’affluenza normale?
Non so se ne sei al corrente, ma la qualità dei servizi di un reparto viene misurata dall’utente, quindi il suo giudizio viene influenzato dal tuo tono del “buongiorno”, da come gli sistemi la fasciatura e da come gli sorridi: una nostra giornata “no” è tutto il lavoro che puoi fare verrà influenzato da quell’unico sguardo distratto che hai prestato.
In Italia molti non sanno nemmeno che per diventare infermieri è necessario conseguire una laurea ed un esame di stato abilitante. Questa è la parte negativa di noi. Per una volta vorrei che quelle telecamere fossero puntate verso un’altra prospettiva: la nostra. Vorrei che inquadrassero lo stato in cui ci troviamo a dover prestare assistenza, la passione che mettiamo nel fare il nostro lavoro, il carico fisico ed emotivo che dobbiamo sopportare. In un recentissimo studio condotto da dei colleghi si è stimato che in ITALIA tutti gli infermieri ed i medici in turno in un pronto soccorso vengano aggrediti fisicamente e verbalmente almeno una volta per turno. Questo è vergognoso, non ho mai sentito nessuno andare in macelleria e urlare “Ehi, tu! Dammi subito due etti di crudo o giuro che ti tiro un pugno tra i denti! Immediatamente!”
È ironico, fa sorridere come l’ho scritto, ma è questo il tono che ci viene riservato il più delle volte. Ma sai cosa è ancora più grave? Che, secondo questo studio, tutte queste aggressioni non vengono denunciate e questo perchè non siamo tutelati, perché ci sentiamo soli.
Ho lavorato per qualche mese in una struttura per anziani ad alta complessità (ciò vuol dire che alcuni degli ospiti erano in stato vegetativo permanente e che il livello necessario di assistenza di base era molto alto), la notte mi sono trovata sola con 86 pazienti. SOLA.
Molti non capiranno la gravità di questa frase, e ne sono tristemente consapevole.
Per dirla tutta ti ho scritto perchè noi infermieri abbiamo una voce flebile e nessuno pare sentirla. Ora non lavoro più in quella struttura, ma in un’altra dove mi occupo di bambini con malattie rare ed ancora di più vorrei che ci fosse qualcuno pronto a difendere la nostra parte.
Vorrei concludere dicendo questo:
“Ti osservo quando sei stanca, ma continui lottando per la vita di tuo figlio. Lo so che ti senti invisibile, come se nessuno se ne accorgesse di tutte le nubi che ti avvolgono, delle tante lotte che devi fare.
Ma voglio che sappia che IO me ne rendo conto.
Ti vedo spingere sempre in avanti. Ti vedo fare sempre delle scelte che possono dare a tuo figlio le migliori cure a casa, a scuola, in terapia e dal medico. In quei giorni in cui ti chiedi se puoi fare di più, voglio che sappia che IO ti vedo.”
Non sei un numero, non sei una malattia, non sei un handicap. Sei una persona e noi siamo qui per te, per difenderti e tutelarti, ma ti chiedo: sii anche tu qui per noi.
Un’Infermiera