Periodicamente sui media si sente un ritornello. Una sentenza velata che individua nella nostra impresa uno dei colpevoli della crisi: “In Italia le aziende non investono in ricerca e sviluppo e non fanno innovazione”. L’idea che si vuole far passare è che all’estero lo spirito imprenditoriale sia più dinamico e coraggioso. In una parola: migliore. Nulla di storicamente ed economicamente più infondato. Il primo errore sta nel pensare che l’innovazione sia qualcosa ad appannaggio esclusivo del privato. Spesso, infatti, non si dice che dietro le grandi innovazioni c’è quasi sempre lo Stato. Lo fa notare nei suoi lavori anche la professoressa Mazzuccato dell’Università del Sussex: la ricerca di base necessita di investimenti troppo ingenti, troppo rischiosi e troppo a lungo termine per il privato. Basti pensare che in questo campo gli investimenti non danno solitamente risultati apprezzabili prima di 15-20 anni. Prendiamo il caso degli smartphone. Cosa li rende innovativi? La tecnologia cellulare, Internet, il microchip, il gps, il riconoscimento vocale, il touchscreen: tutti frutti della ricerca pubblica. Solo per fare due esempi: Internet è nato dalla ricerca militare Usa ed il touchscreen dall’investimento di due agenzie pubbliche tra cui la CIA. Lo stesso vale per qualsiasi altro settore, partendo da quello farmaceutico arrivando a quello aerospaziale. Riguardo a ricerca e sviluppo, il più delle volte, il privato può fare solo lo sviluppo, ricombinando ed adattando i risultati dell’innovazione pubblica. Il secondo errore sta nel ritenere l’investimento privato una scelta arbitraria delle imprese. Le imprese possono investire capitale proprio o capitale preso in prestito, in entrambi i casi le loro possibilità di investimento sono legate all’andamento dell’economia. Imprese i cui ricavi sono in diminuzione troveranno sempre più ostico investire sia prendendo a prestito sia autofinanziandosi. Se l’austerità fa crollare i ricavi delle aziende queste necessariamente avranno difficoltà ad investire sia capitale proprio che capitale preso a prestito. Il ricavo delle imprese corrisponde sempre alla spesa di qualcuno, tutte le spese fatte in un paese corrispondono sempre a tutti i ricavi realizzati nel medesimo paese: se la spesa aggregata nel paese diminuisce con l’austerità (riduzione della spesa pubblica e aumento delle tasse) diminuiranno necessariamente i ricavi aggregati delle nostre aziende. Banalmente se ci sono meno consumi ci saranno meno ricavi. L’evidenza storica dimostra che innovazione e benessere economico sono possibili se le politiche pubbliche prevedono un alto livello di spesa in ricerca di base ed, al contempo, un sostegno alla domanda aggregata di beni e servizi che assicuri lavoro e ricavi alle imprese. Il problema è che queste cose possono essere fatte solo quando lo Stato è l’emettitore della moneta che, non dovendosi preoccupare del debito pubblico, può focalizzare la sua attenzione sull’economia reale invece che sulla finanza pubblica, diminue ndo le tasse ed aumentando la spesa pubblica quanto necessario. Deanna Pala Gli Stati utilizzatori della moneta, come i Paesi della zona Euro, continueranno ad essere vittime dell’austerità che il loro sistema monetario gli impone finché questa esisterà. Per legge, con il fiscal compact, questa è assicurata per i prossimi 20 anni. Ivan Invernizzi