AURANGABAD, POONA E AJANTA
L’India è anche la terra dei paradossi. Siamo di nuovo alla VICTORIA STATION, e vaghiamo disperati tra vecchi vagoni ferroviari. C’e’ stato detto che se abbiamo prenotato dobbiamo cercare il vagone con i nostri nomi scritti sulla porta. Finalmente lo troviamo ma partirà solo dopo 2 ore. La distanza da coprire non è molta ma occorreranno circa 12 ore. Torniamo fuori dalla stazione per approvvigionarci di frutta da utilizzare come cena. Il paradosso è che Stefano e Patrizia si siedono in un rettangolo d’erba e vengono cacciati con un bastone. Solo pochi istanti prima una donna si era accasciata a poche decine di metri da loro, sulla strada, ed aveva urinato. In un paese dove ciò è normale, è invece vietato sedersi sull’erba. Mangio un mandarino ed ecco che mi si avvicina un ragazzetto, dieci anni circa, occhi profondi. Porta le mani alla bocca nel gesto universale di chi ha fame e gli cedo tutto ciò che ho ma, appena si allontana, mi lascio andare a due calde lacrime. Non ne posso fare a meno.
Ho a casa un fratello della stessa età del ragazzetto, che io coccolo e vizio. Non posso non pensare a lui. Il treno è una specie di galera. I sedili sono in legno. E’ superaffollato. Ogni finestra è chiusa da sbarre per evitare che la gente vi entri. In ogni vagone un controllore chiude a chiave la porta. Sono prigioniero del mezzo. Il treno corre lento tra case e stazioni. Si fa notte e le banchine
si coprono di corpi sdraiati. Tra i corpi che dormono ogni tanto si scorge un morto, sdraiato assieme ai vivi, che sembra attenda il proprio treno che lo porterà al Gange. La famiglia lo carica sul treno di fronte al mio come fosse un bagaglio.
Inghiottito dal vagone di terza classe pieno come non mai. Tutti lì tutti assieme, vivi e morti sdraiati a terra alla ricerca di un po’ di pace che verrà. Se un paradiso esiste, deve essere per la gente dell’India. La notte ingoia il treno. Arriviamo ad Aurangabad che sono le quattro del mattino.
Aurangabad non ha in sè nulla di particolare: solite case, solita gente. Mi stò ormai completamente adattando a questa strana terra. Il mercato della città è il solito mercato indiano, pieno di spezie e colori. Ajanta e Poona, invece, sono insieme miracolo e prodigio dell’opera umana. Un insieme di templi posti sul fianco di un monte e tutti scavati
nella roccia. Li raggiungiamo il mattino utilizzando un autobus che sembra impossibile possa sopportare il viaggio. Le strade sono buche e buche e poi ancora buche. I templi sono bellissimi ma non riesco a godermeli appieno. Dò di stomaco, ho la febbre. La sera prima, come mio solito, non sono stato attento a ciò che ho mangiato, lasciandomi ingannare da una strana crema di funghi indiani ai quali non ho saputo resistere. Volevo conoscerne il sapore. Torno in albergo con lo stomaco in mano, accompagnato dal mio amico Stefano che, per consolarmi, mi dice che avrò preso la malaria. Il solito Stefano. La sveglia per prender
l’autobus per Poona è alle 5 del mattino. Da lì, con un treno, intendiamo proseguire per Goa. Da Aurangabad a Poona ci vogliono 6 ore di autobus.
Max – italbiker
– continua 5