Il giorno prima erano andati, sempre di primo mattino, al passo delle allodole dove, sullo spartiacque, due file di vecchi faggi disposti a ferro di cavallo, servivano anni fa a reggere le reti che catturavano gli uccelli migratori. Alessandra si inteneriva pensando a quelle povere bestiole e non avrebbe mai creduto che l’uomo potesse arrivare a tanto. Tutto era silenzioso e in penombra, solo in cima alle vette più alte il sole cominciava a fare la sua gioiosa comparsa. Il fogliame dello scorso anno crepitava sotto i piedi e tutto era pervaso da un area di abbandono e solitudine, una ragnatela sembrava avesse acceso i colori dell’iride. Poco lontano hanno poi trovato un grosso faggio sulla cui corteccia, nell’800, un romantico innamorato, ha scolpito due cuori, due lettere: M. L. ed una data: 15 agosto 1893. Sulla cima di quest’albero un pettirosso ha accennato un timido gorgheggio e pareva voler fare gli onori di casa in quel luogo-simbolo del loro olocausto. Poi sotto braccio i due giovani hanno fatto ritorno alle baite dove stavano trascorrendo, con i rispettivi genitori, un periodo di vacanza. Il mattino seguente arriva Lucio con a rimorchio una piccola scala a pioli sulla quale aveva fissato un paio di sci. “Vieni, Alessandra, andiamo in cima al pendio ora che c’è la rugiada e scivoliamo sull’erba fin dove finiscono i prati”. Quando sono in cima all’altura e l’erba è bassa e magra, Alessandra ha paura. Tutto lo spazio che corre fino giù al bosco, le pare un tremendo precipizio e sembra che le manchi perfino il respiro. “Non salirò mai su quella scala, ne morirei!”. “Ma no, non devi aver paura! Te ne supplico! Io ho già provato. E’ bellissimo! Meglio dell’ottavo-volante!”. “Ti prego, Lucio, non insistere, queste emozioni non sono fatte per me!”. “Te l’assicuro: andremo piano, nel tratto meno ripido, e arriveremo in fondo sani e salvi. La vita ti riserva tante prove e tanti ostacoli da superare ben più ardui. Devi essere forte, dai! La tua è una specie di codardia che sfiora la viltà! Vieni finchè l’erba è bagnata di rugiada”. Alessandra, muta, tutta tremante, si fa convincere con la certezza di mettere in pericolo la vita. Le dà fastidio essere chiamata “codarda”. E dopo aver dato l’addio per sempre a questo mondo, sale davanti, Lucio dietro a protezione. La scaletta sugli sci parte veloce tagliando l’aria come un proiettile. Il vento sibilla nelle orecchie e nei capelli con inaudita violenza. E’ tanta la pressione e la paura che manca il respiro, anche per il traballamento dovuto alle asperità del terreno. Lucio a questo punto dice a mezza voce: “Ti voglio bene Alessandra”. La scaletta incomincia a rallentare perché il pendio non è più così ripido e finalmente sono giunti al limite del bosco, il sospirato capolinea, vicino ai maggiociondoli fioriti. Alessandra è più morta che viva. E’ pallida e gli occhi pieni di lacrime per la furia del vento. Dopo qualche minuto ritorna in sé e subito fissa Lucio negli occhi. E’ stato lui a pronunciare quelle quattro parole o le è parso di sentirle nel rumore di quel finimondo? Lucio, zitto. Osserva con attenzione gli alberi in fiore, come se lui fosse estraneo. Se si cerca un colpevole, è il vento. Lei lo prende sottobraccio e iniziano a camminare per un po’ sul sentiero che costeggia il bosco. Evidentemente l’enigma non le dà pace. Sono state pronunziate da lui quelle quattro parole, si o no?! Per lei è una questione che impegna la vita, l’amore, la felicità. Una questione molto importante, importantissima! La più importante che ci sia a questo mondo. Che gioco di espressioni su quel bel visino. Sta lottando con sé stessa. Ha bisogno di dire qualcosa, di fare qualche domanda, ma non trova le parole. Ha paura che tutto questo le avvelena la gioia. Sentiva però che doveva fare subito una scelta: o vincere la paura o rimanere nel dubbio. “Sai che ti dico, Lucio? Torniamo un’altra volta in cima e facciamo un’altra scivolata magari meno veloce”. Salgono di nuovo fino alla sommità seguendo la scia sull’erba e di nuovo giù nel precipizio. Ricomincia con immutata paura l’urlo del vento. Sobbalza la scaletta galeotta e nel momento in cui la velocità e la volata raggiungono il massimo, Lucio, sempre a mezza voce, ripete: “Ti voglio bene, Alessandra!”. Quando si fermano Alessandra ascolta attentamente la voce del suo compagno: impassibile. E il dubbio rimane. In uno sconcerto estremo torna a chiedersi: “Chi ha pronunciato quelle parole? E’ lui, oppure mi sono fischiate le orecchie?”. “ Vogliamo tornare a casa?” – propone Lucio bleffando. La ragazza è vicina a piangere. E qui prevale l’amore. E’ chiaro che cupido ha già scagliato la prima freccia. “Incomincia a piacermi questo gioco! Vogliamo provare un’altra volta?” Alessandra fa l’abitudine a questa frase, come si fa l’abitudine a tutto. Vivere senza non può più anche se precipitarsi da lassù con quella maledetta scaletta le fa sempre paura, ma è una paura mitigata dall’incanto di quelle quattro parole che, come sempre, esaltano ed angosciano l’anima. I suoi sospetti non sono cambiati: è lui o è il vento? Chi sia a farle quella dichiarazione d’amore, lei non lo sa con precisione, ma non gliene importa molto: da quale ciotola si beva, dice D’Annunzio, non ha importanza, purchè sia inebriante. Tutte le cose di questo mondo hanno un termine. Finite le vacanze, finita l’estate. Finite le scivolate sull’erba, Alessandra non sente più quelle magiche parole e nessuno può più pronunciarle dato che il vento non si fa più vivo e Lucio è partito per il militare. Un giorno Alessandra, mentre cammina ai margini del torrente che bagna il paese, il vento d’autunno le accarezza il viso e gioca con i suoi capelli. Le richiama alla mente quell’altro vento che soffiava forte là sul ripido pendio allorché le risuonavano all’orecchio quelle quattro parole. Diviene triste e dagli occhi le scivolano due lacrimucce. Ed ecco che la fanciulla alza le due mani in alto come a voler pregare questo vento che le rechi ancora una volta: “Ti voglio bene, Alessandra!”. Tutto quello che è stato raccontato fin qui avvenne tanto tempo fa. Le cose in seguito sono andate così: scoppiò la guerra. Lucio aveva poco più di vent’anni. Partì per il fronte rosso e non ha fatto più ritorno. Alessandra, dopo alcuni anni, ha sposato un impiegato del cotonificio ed ora ha due figli. Una convivenza tranquilla e serena. Niente scalette e niente scivoloni. Quei momenti lontani, molto lontani, quando il cuore batteva ancora forte, quando volava sull’erba bagnata di rugiada ed il vento le sussurrava quella magica frase: “Ti voglio bene, Alessandra”, non è più riuscita a dimenticarli. Ed ora che ha qualche ruga e qualche capello d’argento, sono il più felice, il più romantico, il più dolce, ed il più segreto ricordo della sua vita. Il suo primo amore. Giuseppe Paganessi