Abbiamo tutto, forse troppo. Ma siamo felici? È proprio vero che per avere tutto che ruota attorno a noi abbiamo bisogno di un cellulare? O forse di qualcosa d’altro? E se è così, allora, che cosa? Per cosa esistiamo, soffriamo, ci affatichiamo ogni giorno? Festival di Salisburgo, la grande kermesse della musica classica sinfonica e operistica. Evento internazionale, inviati speciali, pubblico sceltissimo. Il discorso di apertura è affidato ad un nome blasonato del teatro contemporaneo, Ionesco. Che così, a sorpresa, conclude il suo discorso. “Le parole amore e contemplazione oggi non sono neppure più ridicole, sono completamente abbandonate. L’idea stessa di metafisica, quando non accende collere, uscita sorrisi di compassione. La crisi è incominciata da molto tempo. Forse già a partire dal XVII secolo, la cultura ha affrettato il proprio decadimento. È diventata sempre più umanistica, invece di essere spiritualistica. Ci sono sorrisi di santi, di angeli e di arcangeli sui volti delle sculture che si trovano nelle cattedrali. Non sappiamo più guardarli. Gli uomini girano intorno in quella loro gabbia che è il pianeta, perché hanno dimenticato di guardare il cielo. Come vivere, come vivere bene, come possedere il mondo, come goderne, come rimpinzarci, dunque come produrre oggetti gradevoli, strumenti del nostro piacere, come godere continuamente senza tener conto degli altri, senza neanche porci il problema della loro felicità o infelicità, come industrializzare l’umanità fino alla saturazione. Ecco che cosa si sono proposto gli uomini e quello che si chiama umanesimo. Si tratta dell’abbandono dei valori spirituali o metafisici. Il problema del nostro destino, della nostra esistenza nell’universo, del valore o della precarietà delle condizioni esistenziali nelle quali viviamo, non è più stato preso in considerazione”.La nostra cultura scettica ci ha inariditi. Non sappiamo più, come dice splendidamente Ionesco, ‘guardare il sorriso sui volti dei santi, degli angeli e degli arcangeli scolpiti nelle antiche cattedrali’. Giriamo come topi impazziti nella gabbia, ‘incapaci ai guardare il cielo’. Stiamo perdendo le grandi dimensioni dell’umano: il senso dell’amore, del mistero, della contemplazione. Triste.