L’uomo si siede e comincia a piangere. “Mi scusi”. È un pudore che mi colpisce, ogni volta. E capita spesso.Tiro fuori il pacchetto di fazzoletti di carta, ma l’uomo ha il suo, di cotone.
“Non è vita… Ma come si fa? Mia moglie non è più lei.” Dei vari esiti di un ictus, l’afasia è uno di quelli più pesanti. Magari capisci, ma non riesci a comunicare. Le parole che faticosamente riesci a pronunciare non sono quelle giuste: non designano nulla, oppure non indicano ciò che vorresti. L’altro non capisce cosa vuoi, se hai bisogno di qualcosa… E tu ci riprovi, e l’altro non capisce. Ci prova, fa tentativi: “Vuoi questo? Quello? Hai bisogno di…?…” E ti spazientisci, e l’altro pure. Ti arrabbi, e l’altro pure. Perché se potessi alzarti da quella carrozzina e fare da te, sarebbe tutto più facile. Invece dipendi da qualcun altro, e neanche riesci a farti capire. L’uomo piange e continua a scusarsi. “Che vita è?” È una domanda che apre una ridda di questioni.E più passa il tempo più mi accorgo di avere più interrogativi che risposte, il che non è segno di saggezza socratica, ma di quanto la vita sia tremendamente complessa. E più la scienza avanza, e più si aprono scenari del tutto nuovi che siamo chiamati a gestire, senza precedenti con cui confrontarci. Siamo pionieri, tutti quanti. “Che vita è?” La domanda non è retorica, è vera e profonda, e non ha risposte predefinite, semplici, ripetibili. Ogni storia è a sé. “È capitata a noi.” Dignitosamente, senza rabbia né rivendicazioni. L’uomo è rassegnato al destino di pioniere, catapultato improvvisamente in un altro mondo, testimone di un percorso che si delinea solo percorrendolo. Pioniere, cammina con altri compagni in terre straniere. Raccolgo le loro testimonianze. E ne lascio qualche traccia qui, semi che spero fioriscano nei nostri giardini interiori.
sguardiepercorsi.it