Dal treno non si scappa: si scende solo una volta giunti a destinazione.
Arrivi affannata alla stazione, cerchi il binario giusto, ti fai largo tra la gente negli stretti corridoi delle vetture trascinando malamente una valigia, e quando trovi uno scompartimento libero, o il più libero possibile, sistemi il bagaglio e ti lasci abbandonare esausta sui sedili in finta pelle. E’ solo allora che ti accorgi di chi hai davanti; lo vedi bene in volto, lo guardi, lo scruti, tenti di intuire il carattere, e tutto in modo che non si accorga del tuo interesse; poi un sorriso, un sorriso di risposta ed è fatta. E’ lui o lei o sono loro i tuoi compagni di viaggio: il destino vi accomuna e ne siete consapevoli.
Non si può resistere a lungo.
La discrezione e la riservatezza lasciano presto il posto a qualche colpo di tosse e a mezze frasi di circostanza. E dalle mezze frasi si passa alle frasi, e dalle frasi a un discorso, e da un discorso al racconto della propria vita. Tutta la vita, la tua e la loro. Traversina dopo traversina, galleria dopo galleria, stazione dopo stazione ci si rivela completamente.
Quelli che abbiamo davanti non sono semplici viaggiatori, casuali utenti delle Ferrovie, ma uomini e donne mandati dal Fato. Diventano i nostri migliori amici ben sapendo che probabilmente, una volta arrivati, non li vedremo più. Ma forse è proprio questo che accende la nostra disponibilità e la nostra propensione al dialogo. E così il tempo di un viaggio è sufficiente per raccontare la propria storia ma spesso, molto spesso, ne avanza anche.
Roma-Torino di seconda classe o Milano-Roma dell’ex avveniristico Pendolino, fa poca differenza: tutte le storie si assomigliano così come le persone che si raccontano. Soprattutto si assomigliano i discorsi, le frasi, le parole e le intonazioni con cui si pronunciano. In questo modo viaggiatori di prima o di seconda classe, ricchi o poveri, non importa di quale ceto, su treni diversi e su tratte differenti, si incrociano, si ritrovano e si incontrano…in un luogo comune. Che per fortuna non è un binario ma una frase fatta, altrimenti i giornali parlerebbero di “terribile sciagura che si poteva evitare” o di “tragico errore umano”.
Quello che vi invito a fare è un gioco di cui spesso siamo involontari protagonisti: trovare, per ogni argomento possibile, qualcosa da dire; oppure, meglio ancora, immaginare che cosa risponderà un ipotetico interlocutore a una nostra provocazione.
Esempio: “Bere fa male”. Probabile seguito: “Tutto fa male: dipende dalla quantità”. Noi andiamo avanti con: “L’importante è non esagerare”. E lui finirà… “Un bicchiere di vino mangiando fa bene: lo dicono anche i medici.” Il treno sembra fatto apposta per questo gioco.
Si parla di tutto: siamo attrezzatissimi, preparati, non ci si tira indietro di fronte a nulla.
In una notte insonne ho voluto seguire con l’immaginazione il tragitto di due treni da stazione a stazione: una prima e una seconda classe, provando persino a rispettare il reale percorso riportato dagli orari ferroviari.
E chissenefrega del nome dei viaggiatori o di chi pronuncia questa o quella frase, quello che mi importava erano solo le frasi in sé e il fatto che prima o poi anche noi le pronunceremo o le abbiamo pronunciate.
Questo perchè tutti noi siamo o siamo stati viaggiatori di quei treni e se non sono treni sono altre circostanze, altri luoghi, ma sempre comuni.
Jù
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