Viviamo in un clima di sottile, perenne conflitto. Ma è nel confronto con l’altro che si forma il pensiero. Incubi come l’Isis nascono dalla mancanza di comunicazione. Parlarsi è bellissimo. Credo che tutto il senso della frase con cui ho aperto, e il motivo su cui svilupperò questo articolo, stia nel verbo riflessivo che ho usato all’inizio. Per una moltitudine di fattori, che mi piacerebbe considerare in parte nelle prossime righe, tendiamo a non parlarci più. Pure, parliamo, parliamo sempre. E’ l’interazione a mancare. Quel riflessivo che è riflessione. Vorrei tornare per un istante a un argomento che ho trattato su queste colonne precedentemente. Ho ricevuto molte email dai lettori, stimolando (o provocando), evidentemente, pareri diversi. Chi esprimeva il suo accordo e chi il suo dissenso (questo a volte feroce, e frutto di totale fraintendimento: colpa mia): fino a qui tutto normale. Ma l’impressione che ho avuto, e che in più ambiti vedo crescere in modo sensibile, è il fatto di essermi sentita quasi in mezzo a due squadre, a match avanzato. In quel caso, si trattava (o meglio “si sarebbe trattato”), di essere “pro o contro” il Metodo Stamina. Ma non si può ridurre un tema tale a scontro frontale tra parti avverse. La vta intera si presenta come confronto tra parti in conflitto. Oppure c’è la guerra. Quella vera. O solo e “fortunatamente”, in modo sottile (ma con altrettanta, disastrosa devastazione della ricchezza del potenziale umano), quella guerra quotidiana che oggi ci soffoca. Provo a trovare un precedente sociologico formale, un punto (convenzionale) d’origine italico e dunque legato alla televisione, vero collante delle nostre ultime generazioni: anni fa, Gianfranco Funari ( che a mio parere fu un grande, forse poco compreso “rivoluzionario” televisivo) ideò e condusse una trasmissione innovativa che si chiamava A bocca aperta. La trovata era semplice. Dividere il pubblico in due fazioni, quelli che la pensavano in un modo e chi la pensava nel modo diametralmente opposto, e lì si creava l’agone. Da allora (diciamo da allora), lo schema è diventato, più o meno marcatamente, base di infinite trasmissioni televisive ma anche di moduli introiettati nel nostro comportamento quotidiano. E allora oggi abbiamo chi è contro o a favore “delle riforme”, chi vuole o non vuole l’euro (così, in un colpo solo) e così via. Ciascuno sostiene cioè la propria posizione il più possibile semplificata e lo scopo finale è spuntarla sull’avversario. Come fossimo tutti piccoli partiti in piccole, quotidiane elezioni all’interno di un sistema bipolare. A difesa delle proprie opinioni… Ma se le opinioni non sorgono dal confronto con l’altro, cosa sono, alla fine? I “nostri” (non “i miei”) pensieri sono la base della civiltà. Senza citare ancora la celeberrima frase di Voltaire, senza il confronto con l’altro non andiamo da nessuna parte. Neanche dentro noi stessi. E quindi restiamo fermi, irrigiditi, in difesa di un “io” sempre più debole e per questo aggressivo. Nel dramma mondiale attuale, l’Isis rappresenta proprio al massimo grado questo problema. Nessun dialogo, lì. Eppure, la sopravvivenza della nostra specie sta nel dialogo. Nella capacità di ascoltare l’altro. Altra strada non c’è. Parlarsi è bellissimo.
J.