Espressione ora poco usata, ma che nel nostro dialetto rende bene il senso del gesto: pagare in contanti, con i soldi in mano e indicandoli, mentre si mettono sul banco o sul tavolo, con l’unghia dell’indice. Ricorda gli antichi rapporti tra venditore e acquirente, sia che si trattasse di vendite importanti, sia del semplice pagamento di un “bianchino” all’osteria, dove il cliente metteva sul bancone la moneta. Questo detto era sulla bocca di chi, avendo buone possibilità economiche, poteva permettersi di pagare sempre in contanti. Chi pagava sull’unghia aveva notevoli vantaggi concreti e d’immagine: ostentare ricchezza, potenza e possibilità di chiedere uno sconto. Questa modalità era infatti un’abile mossa anche per gli avari, che chiedevano ottimi sconti. Mi ricordo che la nonna e la mamma, quando acquistavano qualsiasi merce al mercato o nei negozi, chiedevano sempre lo sconto, anche su piccoli importi e quasi sempre riuscivano ad ottenerlo. A volte il commerciante scalava solo la cifra corrispondente ad un caffè al bar. Ora è più raro sentire queste contrattazioni: dappertutto il prezzo è fisso e per acquisti importanti moltissimi ormai utilizzano il pagamento rateale, che non dà diritto a sconti, anzi, i famosi “tassi zero” in certi casi non sono così veritieri. Spesso questo tipo di pagamento non significa che l’acquirente non abbia la disponibilità di pagare subito “sull’unghia”, ma è comodo, perché diluendo nel tempo una spesa ingente, pesa meno sul bilancio familiare. È tuttavia un’ abitudine che rischia di far accumulare più rate mensili, per più acquisti fatti contemporaneamente. Se la singola rata è abbordabile, sommata alle altre diventa in certi casi una cifra consistente e difficilmente sostenibile. A me hanno insegnato che è sempre meglio pagare sull’unghia, per non avere “debiti” con nessuno, tranne per spese molto importanti. Contrattare è un’”arte” simpatica e conveniente, ma difficile da mettere in pratica.
Ornella Olfi