E’ il colore della fine. E’ il colore dell’inizio. Fine ed inizio. Per te, che adesso sai cosa significa la morte oppure lo stai scoprendo, mentre noi, qui, ci arrabattiamo a capire e ragionare mentre le nostre lacrime bagnano la nostalgia e lo stomaco pizzica la maliconia. Non ci sei più. Non sei più qui, sul nostro stesso palcoscenico di vita. E’ triste, all’apparenza, ma in fondo è meraviglioso. Si, meraviglioso pensarti. E ricordarti, per come eri. Unico. Forte. Deciso. Risoluto. Indistruttibile. Ed imbattibile. Soprattutto imbattibile. Ed infatti, nemmeno la morte ti ha sconfitto. Anche se ci ha provato, quella maledetta e perfida, a lungo, per anni interi. Alla fine si è dovuta inchinare alla tua forza di volontà. Inossidabile. Resa invincibile dall’amore di chi ti ha seguito, accudito ed amato per tutti questi anni. Passo dopo passo. Dolore dopo dolore. Operazione dopo intervento. Eppure, gli anni migliori della tua vita. Gli anni del sentimento puro e della condivisione senza preclusioni. Gli anni che ti porti nel cuore, adesso, preziosa eredità di un cammino terreno che ti puoi vantare di possedere. Anche adesso, che te ne stai da qualche parte, lassù, mentre ci scruti, sorridente, proprio come era la tua ultima espressione, nel letto d’ospedale, nella stanza 17, in fondo al corridoio, nel silenzio che meritavi, con a fianco le persone che ti hanno amato ed a loro volta saputo meritarti. A prescindere. Nel tuo cuore respira tua moglie, parte integrante del tuo essere, vero organo vitale e pulsante della tua esistenza corporea, protagonista con te di un autentico miracolo d’amore che tutto il pianeta potrebbe invidiarvi, se solo fosse a conoscenza di quello che è stato il vostro vivere insieme. Elia e Donatella, una storia d’amore meravigliosa, capace di dare un senso ad attimi ed anni, momenti e giorni, sguardi e carezze, imprecazioni e sussurri, lacrime e risate. Un senso all’umano “non senso”. E sorrido anche io, adesso, quando mi chiedo “chissà, Elia, dove sei?” Chissà se te la ridi, sotto i baffi e scuoti la testa o la mente o il cuore, nelle forme più strane mentre osservi oppure solamente riposi, finalmente libero dai quei macchinari che per 34 anni sono stati in grado di fare le veci dei tuoi reni malandati. 25 aprile 2012. Giorno della liberazione. Per la storia del paese, ma anche per la tua. Anche tu “liberato” dalla sofferenza, fisica e straziante che il tuo corpo martoriato ha dovuto sopportare per tempo indicibile. Venti minuti dopo le 13 hai detto addio a questo spazio temporale che chiamiamo “vita” ed hai chiuso gli occhi. Sereno. E leggero. E libero. E unico. E’ successo, così, d’incanto, anche se nessuno di noi lo avrebbe mai voluto, egoisticamente, per il bene che ti volevamo e soprattutto per l’ammirazione che nutrivamo verso di te. Anche se tutti noi, eravamo consci, nostro malgrado, che prima o poi sarebbe “dovuto” accadere. Per tutto questo, ma non solo, resterai, per sempre, nel nostro cuore. Dentro l’anima di chi ti ha amato. Da vicino: per amore. Nei dintorni: per amicizia ed affetto. Da lontano: solo per averti conosciuto ed ineluttabilmente stimato. Per come eri. Per come lottavi. Per come vivevi. Per la tua storia. Per il tuo dramma. Per il tuo resistere, nonostante tutto. Per il tuo modo di camuffare quello che era semplicemente un calvario. Per la tua volontà che ci ha insegnato ad amare la vita, in ogni minuscolo frangente. Per la tua determinazione. Per il tuo orgoglio. Per il tuo coraggio. Per il tuo esserci, sempre e comunque, con i denti e con le unghie, alla faccia della malattia, della sfiga più bastarda e detestabile. Credo che raramente concetti come banalità e retorica siano stati così distanti da uno scritto che si sforza, nel suo immenso piccolo, di celebrare chi non c’è più. O meglio. Di chi ha abbandonato fisicamente il palcoscenico, per entrare dentro l’anima del resto degli attori ancora in scena. Ciao Elia. A presto. MaLo