I piedi, a dieci centimetri dal pavimento lucido. La punta degli anfibi, che spunta dall’orlo dei pantaloni. Lascio ciondolare le gambe, dallo sgabello di un bar. I gomiti appoggiati al bancone, e le mani intorno ad una tazza fumante. La luce è bassa, il viso chino sul caffè lungo, che lascia salire una piccola scia vaporosa.
La musica dei Tiromancino, così bassa da doverla indovinare. Lascio ciondolare i piedi, e mi scaldo le mani, mentre i pensieri si rapprendono. E l’odore del caffè amaro, che sale a riempire le narici, mi ricorda che è quasi Natale.
Fuori la sera prende il sopravvento, la luce inizia a scemare, e le persone sono solo ombre, profili fugaci, che si muovono dietro ad una porta a vetri. La ragazza dietro il bancone mi sorride appena.
Sembra capire il mio fuggire dal mondo. Il tempo di un caffè caldo, amaro, protratto nel tempo, con svagato impegno. Le sorrido, e spero che non stia per dirmi che deve chiudere. Aspetto che faccia buio, aspetto che si accendano i lampioni, aspetto di diventare un’ombra come gli altri, per sgattaiolare fuori, tra il freddo e le altre sagome scure. Con il cucchiaino raccolgo le ultime gocce di caffè dal fondo della tazza. Aspetto le ultime note dei Tiromancino, dondolando i piedi, e provando per qualche secondo, la sensazione di essere piccolo. Appoggio le dita intorno alla tazza oramai fredda. Appoggio la punta dei piedi al pavimento, il confine della mia fuga. Il ritorno alla realtà. Sorrido, sorrido alla ragazza che mi guarda distratta, mentre sistema le tazzine sopra la Cimbali.
Ha gli occhi chiari, e sembra sapere più di me. Di me. E’ una di quelle sere, in cui potresti raccontarti, anche ad una sconosciuta. Invece non dico niente, resto in silenzio, cercando gli spiccioli per pagare. “Hanno già pagato il tuo caffè.” Mi sorride. Dovrei domandare, chiedere, ma non parlo. Forse so, o forse solo, non voglio sapere. Esco. Il freddo è pungente, i passi di mille sconosciuti, lo scampanellare di un Babbo Natale di colore, poco lontano. Mi guardo intorno, senza vedere, senza sapere. Resto immobile, come i mimi che popolano le vie del centro, qualche istante, senza trovare la risposta. Le ombre mi passano davanti, svelte e curve, proteggendosi dal vento gelido. Rientro dentro, tiro fuori due monete dalla tasca e le appoggio sul bancone.
“Prima o poi qualcuna chiederà una cioccolata amara…” Lei sorride, e annuisce.
Esco, e seguo il flusso di luci e di ombre.
E per un attimo, è come se ti sentissi respirare. È come se i tuoi occhi fossero dietro di me.
Alzo il collo del cappotto, e non mi volto.
Ma sorrido, mentre cammino su quella che potrebbe essere la tua ombra.
Trevor