Quando avevo 11 o 12 anni pensavo alla morte, alla mia morte. Dell’essere morto mi dispiaceva non poter sapere cosa succedesse delle vite di parenti, amici, degli eventi politici dopo la mia morte. Mi chiedevo se non ci fosse un modo per sapere quello che non potevo sapere: magari i morti conservavano la facoltà della vista e dell’ascolto dei vivi. Ma la morte era proprio l’assenza di quelle facoltà. Non avevo ipotesi metafisiche: nessun mondo ultraterreno, nessun dio a consolare, nessun mondo nascosto dietro la cortina della morte. Solo la consapevolezza di non poter più sapere cosa sarebbe accaduto dopo la mia morte. E del progressivo oblio degli amici. Immaginavo di fingere la mia morte per guardare di nascosto il mio funerale.
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