Ci stiamo abituando. Ci stiamo abituando a perdere le cose che ci appartenevano, proviamosgomento nel momento in cui avvertiamo la perdita ma poi ci arrendiamo a convivere con la mancanza. Nelle piccole cose come nelle grandi. Mi sono abituata a guidare nelle strade della mia cittadina tipo Mister Magù, con la faccia attaccata al cruscotto perché della luce dei lampioni è rimasto solo il lampione. Illuminare le strade, tutte e ovunque, è un costo che un Comune non può più permettersi. Mi sono abituata a tagliare molto di quello che viene etichettato come “superfluo”.Non tutto e non sempre.
Ma prima o poi mi abituerò al “fare a meno di”, ma spero almeno di non finire come molti che conosco, che descrivono il nuovo stile di vita all’insegna della privazione con un non so che di positivo, di eroico, di ritrovato stato di salute. Saper vivere con poco è una grande capacità ma poter vivere concedendosi il superfluo è un diritto. Ci siamo abituati a pensare che se conserviamo uno stipendio, più basso rispetto a prima, ma almeno ogni mese è una grande fortuna. I ragazzi si sono abituati all’idea di lavorare anche gratis perché comunque “fa esperienza”.
Ci siamo abituati così tanto al fatto che DEBBA esistere un certo tasso di disoccupazione, che è grasso che cola quando “almeno ce n’è uno in famiglia che lavora”. Ci siamo abituati così tanto al martellamento mediatico dello Stato che non può permettersi di spendere, anzi di più, non è sano che spenda, che anche chi difende la spesa pubblica lo dice bisbigliando e con la premessa “la spesa pubblica va aumentata, almeno un pochino, almeno in recessione”. In realtà ci abituiamo alla scarsità ancora prima che una cosa ci venga tolta. Preannunciare la rinuncia, enfatizzare l’abbondanza descrivendola come il sintomo di una malattia, ha l’obiettivo di farti abituare all’idea della rinuncia. Serve a farti abbassare le sane resistenze al cambiamento, quando vira verso il peggio. L’effetto di questa comunicazione è che quando ti arriva la notizia della cancellazione di un diritto, di un pezzo di reddito, delle abitudini addirittura avvertirai una sensazione di ritardo rispetto all’attesa negativa che nutrivi. Come nel migliore esperimento pavloviano, ormai basta l’annuncio. La shock economy ha imparato molto dalla psicologia sperimentale. Sfatare le superstizioni economiche con le quali l’Unione Europea ti abitua alla progressiva povertà è ormai anche un esercizio di sanità mentale. Una sorta di resistenza mentale e fisica, un po’ come perseverare a ragionare bene all’interno di un manicomio. Non abituarti all’austerità, neanche a quella travestita da ingannevoli messaggi come “la dieta dello Stato”: ti fa male, non ti serve, non è necessario, è una balla.
Deanna Pala
ReteMMT
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