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L’URLO

Abitiamo (io e la mia consorte) ormai da quasi 3 anni, in una piccola graziosa casetta in aperta campagna. Ci è piaciuta da subito, pensando di andare a vivere immersi in un’oasi di verde pace, e sarebbe così se sul suo lato ovest non scorresse una piccola trafficatissima strada, ove transitano nonostante le sue ridotte dimensioni, anche giganteschi mezzi pesanti. Il nostro muro di cinta dista dalla casa un quindicina di metri, non sufficienti ad isolarci dai rumori del traffico; tant’è che quando sulla strada passano veicoli col volume della radio particolarmente alto, sentiamo l’echeggiare della musica stando in casa.

Mi domando se chi sta all’interno di queste auto trasformate in “discoteche” mobili, non vengano (anziché allietati) rimbambiti da un suono tanto potente. Entro nel nocciolo della questione; qualche anno prima di trasferirmi nell’attuale residenza, mi è capito un fatto alquanto rilevante: mentre stavo attraversando Gambara (un bel paesello della bassa bresciana) destinazione Leno, ho sentito un’urlo terrificante, un grido talmente lancinante da perforarmi il cervello come una lama, d’istinto, ho inchiodato la macchina e mi sono trovato il viso di un bimbo all’incirca di 4 o 5 anni davanti al muso dell’auto (praticamente attaccato) che mi guardava con gli occhioni terrorizzati.

Subito sua madre lo ha preso in braccio ed è andata sul marciapiede, sono sceso dall’auto, ho chiesto come stava, la mamma del piccolo era talmente agitata che singhiozzava e non riusciva a parlare, intanto arrivò anche il conducente del veicolo che seguiva il mio: “quando ho visto il bambino saltare giù dal marciapiede, me l’ero già immaginato sotto, Cristo Santo, come hai fatto a frenare in tempo ? “ – “ho sentito urlare ed ho inchiodato”; – sono stato lì qualche minuto ed accertato che bambino e mamma stavano bene sono ripartito, ma dopo duecento metri ho cominciato a tremare, ho messo la freccia a destra e mi sono fermato nel parcheggio del supermarket situato alla fine del paese. Ripensando a quanto appena accaduto, il cuore ha cominciato ad andarmi fuori giri; se non avessi sentito quell’urlo non avrei frenato in tempo, rivedevo ancora gli occhioni terrorizzati del piccolo; ho aspettato 5 minuti respirando profondamente.

Quando mi sono un po’ calmato, ho telefonato a Leno (dove ero diretto) per avvisare che i documenti che aspettavano glieli avrei portati il giorno dopo, in quel momento non me la sentivo di guidare l’auto. Sono sceso, ho preso un carrello del supermercato sono entrato ed ho iniziato a comprare qualcosa, continuavo a girare attorno agli scaffali per scaricare la tensione, finché mi sono sentito sufficientemente calmo per tornarmene a casa. Ho raccontato l’accaduto a mia moglie, mostrandomi tranquillo per non farla agitare, in realtà dentro me c’era una tempesta che cercavo di soffocare.

L’episodio sopra descritto mi ha talmente toccato che per 4 anni non sono più riuscito ad accendere la radio mentre guidavo l’auto, per paura di non sentire eventuali segnali di pericolo provenire dall’esterno. È solo da qualche mese che ho cominciato a riaccenderla, su martellante incitamento delle mie nipotine, a loro piace molto la musica, e comunque la tengo sempre ad un volume moderato. Ogni volta che attraverso Gambara e mi trovo al punto dove il bambino si è parato davanti al muso dell’auto, mi scuote un brivido, una specie di indescrivibile scossa, un ammonimento a prestare la massima attenzione.
Quando, stando nella mia casetta, osservo le auto che passano sulla strada e sento il rimbombo delle loro radio, mi domando: attraversando un centro abitato, col volume così a palla, sarebbero in grado di udire il disperato Urlo di una Madre ???

Giordano

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