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LEONARDO MOSCATO LA FOTOGRAFIA COME ARTE

Quarant’anni di fotografia, di cui 20 nei panni di professionista del settore. Leonardo Moscato riavvolge il rullino dei ricordi e racconta la sua storia a tinte bianche, nere e colori vari. Una storia “vera” costellata da successi, scoperte, cambiamenti e un finale a sorpresa.
Dalla sua Olbia, 58 anni trascorsi quasi sempre ad inquadrare la realtà che lo circonda, Leonardo è uno dei fotografi vecchio stampo che oggi forse non esistono nemmeno più.
È una persona che parla di camere oscure, di ore spese a leggere riviste specializzate, di analogico e digitale, di inquadrature e di racconti visivi. Della prima macchina fotografica, (“una Bencini Koroll 2^, 9500 Lire, l’equivalente di circa 5 euro”) e della ricerca continua per migliorarsi, per crescere, per descrivere un’emozione o un paesaggio semplicemente vedendolo da un mirino. Come sempre accade, alla fotografia anche lui ci è arrivato quasi per caso. Da Medicina Veterinaria scappò via una volta appresa la necessità di assistere alla macellazione del manzo nei mattatoi così si iscrisse alla facoltà di chimica anche se già da tempo studiava con interesse la fotografia.
“La fotografia, a quel tempo, era una questione essenzialmente di chimica – racconta – ed io all’epoca passavo una media di 5 ore a notte in camera oscura ed ero rappresentato da un’agenzia di stock Svizzera”.
La scintilla era ormai scoccata. Un connubio destinato a proseguire per decenni. Lo spunto per iniziare, però, arrivò proprio dalla sua terra.
Ovvero?
Pare che le foto del mare sardo fossero molto gradite ai produttori svizzeri di cioccolatini per le copertine delle loro confezioni “formato famiglia”. Nessun reportage dal Vietnam né da altre zone di guerra: sono sempre stato un fotografo/pantofolaio.
Eppure l’ingresso in questo mondo ha almeno un’altra radice.
Ho un fratello maggiore che a 14 anni cominciò ad interessarsi al gentil sesso e quindi decise di comprare una macchina fotografica. La mitica Bencini Koroll non era una “macchina da fustino di detersivo” come molti giovani digital fotografi di oggi potrebbero pensare. Era una fotocamera vera, addirittura medio formato: 3×4,5 cm. E a differenza delle macchine di oggi, chi ce l’aveva al collo, di solito, sapeva fotografare. Io e mio fratello no ed è per questo che io decisi che dovevo studiare…
Inizia così un lungo periodo di formazione.
Era il 1971 e posso dire di aver letto tutto quello che l’editoria fotografica ha pubblicato da allora sino a oggi. Per farla breve, a 11 anni sapevo già come si stampava un negativo a colori in casa, ma non avendo ancora la camera oscura mi dovetti trattenere fino a 19 anni, quando col mio primo ingranditore e un “process lab color” progettato da me e realizzato da un vecchio e spiritoso falegname, feci i miei primi Cibachrome casalinghi.
Erano gli anni dell’analogico…
Col “Geppettocolorlab” andai avanti per molti anni, finché non passai al digitale che per me arrivò nel 2009. Comprai una reflex digitale usata e già fuori produzione, la misi in un cassetto e lì me la dimenticai. Poi decisi di trovarle un obiettivo e usai quella macchina finché non si sbriciolò tra le mani.
Ed ecco che…
Nel 2012 comprai una compatta premium e andai avanti ancora qualche anno.
Ora scatto con mirrorless e una reflex del 2003. Non mi hanno mai appassionato le macchine dell’ultima generazione, preferisco quelle della penultima e vanno bene anche quelle della sestultima.
I tuoi generi spaziano dal glamour alla fotografia di matrimonio.
Il glamour ho iniziato a farlo quando ero all’università; in effetti all’epoca, quando qualche collega di studi mi chiedeva di farle qualche foto, quasi mi offendevo, perché pensavo che la fotografia con la effe maiuscola fosse il reportage, o la street oppure il paesaggio alla Ansel Adams. Però poi cedetti alle lusinghe e cominciai a fare ritratti alle mie colleghe: più le colleghe diventavano sfacciate e più i miei ritratti diventavano glamour e poi nudi.
Anche questo ha contribuito ad elaborare la tua idea di fotografia.
Ora mi dedico in modo particolare alla fotografia glamour. Mi sono ricreduto sul fatto che la fotografia sia solo Cartier Bresson e Ansel Adams: c’è anche Helmut Newton. E poi… per vivere ci sono i matrimoni. Sono in provincia e se devi vivere di questo lavoro, non ne puoi fare a meno.
Quale futuro per la fotografia?
Non c’è nessun futuro per la fotografia, è stata sostituita dai selfie già da un pezzo e la cosa più grave è che nessuno se ne è accorto.
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