Mehmet Ali Agca è stato un militante nell’organizzazione terroristica di estrema destra denominata “Lupi Grigi”. Il 1º febbraio 1979 partecipò alla preparazione dell’attentato che costò la vita al giornalista turco Abdi Ipekçi, direttore del quotidiano liberale Milliyet. Dopo essere stato condannato alla carcerazione, il 25 novembre 1979 riuscì a evadere dal carcere di massima sicurezza di Kartal Maltepe, in cui era detenuto. In seguito all’evasione partirono le sue prime minacce di attentato a papa Giovanni Paolo II. Il 13 maggio 1981, pochi minuti dopo l’ingresso di Karol Wojtyła in piazza San Pietro per l’udienza generale, Ali Agca sparò due colpi di pistola al Papa.
Fuggendo subito dopo, raggiunse il colonnato di piazza San Pietro, ma fu fermato da alcuni astanti. Urtando inavvertitamente con il braccio una suora lì presente, gli cadde in terra l’arma. Riprese la corsa, ma, ormai disarmato, fu definitivamente bloccato e arrestato. Wojtyła fu presto soccorso, portato in ospedale e sottoposto a vari interventi chirurgici. Il 22 luglio 1981, dopo otto giorni di processo per direttissima, i giudici della corte d’assise condannarono Mehmet Ali Agca all’ergastolo per tentato omicidio di Capo di Stato estero. Ali Agca rinunciò a presentare appello contro la sentenza di condanna, la cui motivazione esplicitava che l’attentato «non fu opera di un maniaco, ma venne preparato da un’organizzazione eversiva rimasta nell’ombra».
La difesa sostenne, invece, che Ali Agca aveva agito da solo, in preda a una schizofrenia paranoica, mossa dal desiderio di diventare un eroe del mondo musulmano. Il 12 marzo 1982, il Consiglio nazionale di sicurezza turco confermò la condanna a morte di Ali Agca per l’uccisione del giornalista Abdi Ipekçi. Una successiva amnistia commutò la pena in dieci anni di reclusione. Nel 1982, tuttavia, Ali Agca cambiò versione e cominciò a parlare di una “pista bulgara” che avrebbe collegato l’attentato al Papa al KDS, i servizi segreti della Bulgaria comunista.
Venne anche individuato un presunto complice, Oral Çelik, che sarebbe intervenuto in caso di fallimento di Ali Agca. Nel giugno del 1983, i presunti rapitori di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori chiesero la scarcerazione di Agca, una mossa secondo alcune ricostruzioni dettata dalla volontà di fare cambiare versione ad Agca, cosa che Agca effettivamente fece il 28 giugno 1983 nel cortile della Questura di Roma. Nel 1983, Giovanni Paolo II, due giorni dopo Natale, fece visita all’attentatore nel carcere romano di Rebibbia. I due parlarono da soli per 22 minuti e la loro conversazione è rimasta privata.
La sentenza del 29 marzo 1986 non riuscì tuttavia a dimostrare la tesi del complotto bulgaro, comunque sempre smentita dal leader comunista di allora Todor Živkov. Il 20 febbraio 1987 il Papa ricevette in udienza la madre e il fratello di Ali Agca i quali gli chiesero di intercedere per la grazia. La buona condotta in carcere del terrorista turco diminuì ulteriormente la pena: infatti il 25 maggio 1989 il Tribunale di sorveglianza di Ancona gli concesse una riduzione di 720 giorni di reclusione; il 9 gennaio 1994 la riduzione fu di altri 405 giorni; il 18 dicembre 1995 di 180 giorni. Tali provvedimenti consentirono di abbreviare il termine di 26 anni di reclusione, scontati i quali un ergastolano, in base al diritto italiano, può chiedere la libertà condizionata. Ali Agca, nel settembre del 1996, presentò nuovamente la domanda di grazia o, in subordine, l’espiazione della pena in Turchia.
Il 13 giugno 2000, il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi concesse la grazia dopo che la Santa Sede si era dichiarata “non contraria” al provvedimento. In questo modo, il giorno successivo Ali Agca viene estradato dall’Italia e giunge a Istanbul. In Turchia, nel carcere di massima sicurezza di Kartal, Ali Agca da questo momento in poi dovrà scontare 3492 giorni, cioè i dieci anni per l’assassinio del giornalista Abdi Ipekçi, durante i quali era evaso in precedenza.
Il 12 gennaio 2006, uscì dal carcere di Kartal a Istanbul.
Per un breve periodo se ne persero le tracce, dal momento che non si presentò in questura come avrebbe dovuto, asserendo in seguito di aver voluto evitare la calca dei giornalisti. Dopo soli nove giorni di libertà la Corte suprema turca ordinò che Ali Agca fosse nuovamente imprigionato per un errato computo nella diminuzione della pena. L’ordinanza di carcerazione fu eseguita il 20 gennaio 2006. Ali Agca è stato scarcerato il 18 gennaio 2010 dall’istituto di pena di Sincan, alla periferia di Ankara. All’atto della scarcerazione ha dichiarato di essere in realtà il Cristo, di voler riscrivere la Bibbia e ha preannunciato l’apocalisse.
Nel febbraio del medesimo anno ha incontrato Pietro Orlandi (fratello di Emanuela) dichiarando che la sorella, rapita nel 1983, sarebbe ancora viva. Lo stesso Ali Agca si è impegnato a contattare i carcerieri di lei per provvedere alla sua liberazione. Alle parole non è seguito alcun fatto concreto. Il 1º febbraio 2013 fu pubblicata la sua autobiografia “Mi avevano promesso il Paradiso”. La mia vita e la verità sull’attentato al Papa.
Nel suo racconto, oltre a ripercorrere i momenti di quel 13 maggio 1981, giorno dell’attentato a Giovanni Paolo II e del successivo incontro (27 dicembre 1983), a Rebibbia, con lo stesso Wojtyła, Alì Agca, che nel 2010 aveva accusato il cardinale Agostino Casaroli come mandante, indicava ora quale nuovo mandante dell’attacco terroristico Khomeyni. Quest’ultimo – afferma – gli avrebbe ordinato, in turco: «Tu devi uccidere il Papa nel nome di Allah. Tu devi uccidere il portavoce del diavolo in terra, il vicario di Satana in questo mondo. Sia morte al capo degli ipocriti, alla guida degli infedeli. Sia morte a Giovanni Paolo II per mano tua… non dubitare mai, abbi fede, uccidi per lui… e poi togliti la vita affinché la tentazione del tradimento non offuschi il tuo gesto… il tuo martirio sarà ricompensato con il paradiso, con la gloria eterna nel regno di Allah». L’ayatollah pare non conoscesse se non sommariamente la lingua turca e sarebbe estremamente improbabile che un sunnita come Agca prenda ordini da un alto esponente sciita, tanto da destare ben più del semplice sospetto che tutto ciò non sia sostanzialmente diverso da numerose altre fantasiose rivelazioni che, di volta in volta, il terrorista turco ha consegnato all’attenzione dei media internazionali.
Il 27 dicembre 2014, in occasione del trentunesimo anniversario del suo colloquio con il Papa nel carcere di Rebibbia, si reca a visitare la tomba di Giovanni Paolo II, dove deposita due mazzi di fiori. Successivamente, a un controllo delle autorità italiane il suo passaporto è risultato irregolare oltreché la sua presenza inammissibile sul territorio di Schengen fino al 2016. Questo ha determinato l’applicazione del rimpatrio forzato da parte delle autorità, che hanno imbarcato Agca per la Turchia il 29 dicembre 2014. Nel dicembre 2022 avrebbe contattato la famiglia Orlandi a mezzo lettera sostenendo che Emanuela era presso una fantomatica istituzione religiosa gestita da suore, che il mandante del rapimento della stessa fosse proprio papa Giovanni Paolo II e altre dubbie rivelazioni riferite da Pietro Orlandi durante la trasmissione televisiva Atlantide di LA7.
(Fonte Wikipedia)