Ogni mamma ha un suo modo affettuoso per chiamare i suoi figli, al di là del nome di battesimo. Nel nostro dialetto, pur essendo poco sdolcinato, le molte varianti, da quando il figlio è piccolo fino a quando è adulto, molte sono le varianti affettuose per chiamare o riferirsi ai propri figli, termini che lasciano trasparire molto bene l’amore e la tenerezza che ogni mamma prova nei loro confronti, perché a qualunque età, dentro di lei rimangono bambini.
Razionalmente man mano passano gli anni la mamma sa che deve accompagnarli, consigliarli, insegnare loro i valori etici basilari, ma lasciandoli andare verso il loro futuro. Tuttavia l’amore per loro è talmente grande che vorrebbe sempre proteggerli come quando erano bimbi, vorrebbe essere sempre al loro fianco per evitare loro dolori e delusioni.
A parte casi particolari, tuttavia, ogni mamma sa comportarsi con equilibrio con ogni figlio, per non tarpargli le ali, ma nello stesso tempo per fargli sempre capire che lei c’è e ci sarà ogni volta che ne avrà bisogno. Per questo, forse, molte mamme prima del nome proprio del figlio dicono “èl mé…” per sottolineare inconsciamente il legame profondo ed unico che li unisce; “èl mé pütì – la mé pütina” ( il mio bambino /a), quando sono piccoli; “èl mé gnaro/a” quando sono ragazzi; “èl mé s-cèt/a” quando sono giovanotti e signorine; “mé fiöl /a” quando sono adulti. Il messaggio che passa, è ancora più affettuoso al di là delle parole, dei nomignoli, dei soprannomi, dei nomi affettuosamente accorciati, allungati, storpiati: traspare dallo sguardo che si illumina ogni volta che una madre chiama suo figlio, ogni volta che parla di lui con altre persone e ogni volta che pensa a lui anche se è lontano.
Ornella Olfi