Rimani sempre aggiornato! - Scarica l'App di New Entry!

La lingua, la testa, la pancia (2^ parte)

Dodicesima margheritina.
Se io faccio il mio lavoro, ho rinunciato a tutti gli altri che potevo fare. Sposare questo uomo significa rinunciare a tutti quanti gli altri uomini passati, presenti, e futuri. A tutte quante le altre donne passate, presenti, e future. Ed è soltanto una pancia adulta che può fare una scelta di questo genere. Perché dico spesso che la pancia è ferma proprio a diciassette anni? Perché dopo i diciassette vengono i diciotto, quello che secondo la legge è la maturità. Per cui dai diciassette ai diciotto anni io ho l’ultimo gradino della maturità. La mia pancia si trova in cima alla scala, che mi dice “sta attenta che se fai quel gradino ti butti nella maturità una volta per tutte”, è l’ultimo gradino ma è il più difficile. Per cui se vi state chiedendo, come faccio a capire dove è ferma la mia pancia, date per scontato che da un bel pezzo è ferma a diciassette anni di età. In  consultorio capisco dove le donne hanno ferma la pancia da come piangono, prima che comincino a parlare. Ci sono donne che piangono come neonati, donne che piangono come bambini con i singhiozzi, donne che piangono come ragazzine, donne che piangono come donne adulte.
Le donne che piangono dopo che hanno fatto l’amore, a parte quando lo fanno perchè sono felici, significa semplicemente che non sono innamorate, oppure la pancia l’ha fatta ma non aveva l’età per far l’amore. Una pancia ferma a dieci anni, come fa ad andare a letto con un uomo? Poi sente che ha fatto qualche cosa che non andava bene. Come faccio a dieci anni ad essere sicura che sono innamorata? Sto rischiando grosso. Quando succede qualcosa di grave a noi e non ce la facciamo, continuiamo a raccontarla, perché raccontandolo ci liberiamo la pancia di quello che abbiamo provato, paure, emozioni ecc.. Infatti diciamo mi sono sfogata, chissà perché con i bambini non facciamo così? Ai bambini non riconosciamo questo bisogno, questo diritto. Se succede qualcosa di grave a un bambino, la cosa più grave è che muoia un genitore. Gli adulti come si comportano? Taci che arriva il bambino. Nessuno parla di quel bambino. Invece quel bambino avrebbe bisogno di una persona adulta che lo prende e gli dice: “Tira fuori quello che hai provato, scrivilo, disegnalo, urlalo, butta per aria qualcosa ma tira fuori quello che c’è dentro”. Altrimenti le emozioni e la pancia si bloccano. Un uomo mi diceva: ho perso mio papà a sette anni, venivano le donne a consolare mia mamma e quando andavano via mi davano una pacca sulla mia spalluccia e mi dicevano: fai il bravo ometto, stai vicino alla mamma. Non so se ci rendiamo conto della crudeltà che usiamo con i bambini, la mamma poteva piangere e disperarsi e lui, a sette anni doveva fare l’ometto. La cosa più importante nell’educazione di un bambino è aiutare il bambino a tirare fuori la rabbia che noi gli accumuliamo dentro. Perché noi siamo tremende, e stai fermo, e stai zitto, e perché hai fatto così, ti sei bagnato, sei disordinato. Ma noi non sopporteremmo alle spalle una persona così, tutto il santo giorno. Ma con i bambini ci permettiamo di farlo. E questo tormento osiamo chiamarlo educazione. Un bambino non amato dai suoi genitori non dice “che cosa c’è in quei due che non mi vogliono bene?” magari potesse dire così. Purtroppo il bambino prova di pancia le cose in un altro modo, “cosa ho fatto io di male se i miei genitori non mi vogliono bene” “che cos’ho io che non va?” sicuramente è colpa mia, i genitori non possono sbagliare. Questo è il senso di colpa. Siamo abituati a dire: “Sei arrabbiato”, “sei cattivo”  e il bambino registra nel suo computerino la sequenza “sono arrabbiato”, “sono cattivo”, mi sento in colpa di essere cattivo, adesso aspetta che ne combino una più grossa, così la mia mamma mi punisce e io faccio tacere il mio senso di colpa. Ho sbagliato, ho pagato, ho pareggiato il conto. Ecco perché le mamme a volte dicono ai bambini “ma le vuoi proprio prendere”, certo che le voglio prendere, perché prendendo faccio tacere il mio senso di colpa. Ciascuno di noi può vivere con le peggiori sofferenze, persino con le peggiori torture, ma non può vivere con un senso di colpa. Un senso di colpa chiama subito una sofferenza per essere messo a tacere. Allora cosa bisogna dire ad un bambino arrabbiato. “Vedo che sei molto arrabbiato, hai anche ragione perché la mamma ti ha detto di no”. Quando c’è un bambino a casa noi andiamo al mercato, prendiamo uno di quei bei cuscini bendati, e diciamo al bambino questo è il cuscino della rabbia, vai e riempi di pugni il cuscino.
continua-3

Tratto dal Libro di Belotti
con commento di Gianluca Boffetti
Belotti

Condividi