Oggi è forse la “materia prima” più scarsa nel nostro Paese, in tutti gli ambiti. Eppure sarebbe facilmente reperibile e rinnovabile senza limiti: chiunque può dotarsene – sempre e ovunque – a prescindere da censo e ruolo sociale. A cosa mi riferisco? Al sorriso. Che non è né cattolico né laico, né di sinistra né di destra, ma è (in fondo) una forma di senso civico perché crea condizioni migliori per la convivenza all’interno di una comunità. «Sorridi anche se il tuo sorriso è triste, perché più triste di un sorriso triste c’è la tristezza di non saper sorridere», scriveva Jim Morrison. Usare e dispensare al prossimo un sorriso è intuitivamente questione di buone maniere e di ottima disposizione d’animo. Ma il sorriso è anche altro. In un’era dominata da iper-individualismo, egocentrismo e cinismo, chi accoglie l’altro con un sorriso compie un gesto rivoluzionario: «Non sapremo mai quanto bene può fare un semplice sorriso», amava ripetere Madre Teresa di Calcutta. Non è azzardato affermare che per questa via si possa costruire una nuova forma di cultura – la “cultura del sorriso” – caratterizzata da capacità di accoglienza, voglia di occuparsi dell’altro e di costruire un rapporto duraturo nel tempo. Basti pensare a quanta differenza può fare un sorriso sul volto del medico che visita un paziente o del commesso che serve un cliente, dell’impiegato che risponde alle richieste d’informazione di un cittadino o del vigile urbano che sbarra una strada al traffico. Della forza del sorriso è consapevole da tempo il mondo dell’economia. Sempre più spesso nelle multinazionali e nelle aziende più strutturate il sorriso si insegna e si richiede ai dipendenti, come se fosse parte integrante della propria mansione lavorativa: è una forma semplice e al tempo stesso avanzata di marketing, un indice fondamentale della capacità di prendersi cura dei propri clienti e di conquistare il loro consenso. Perché con il sorriso non si costruisce solo un mondo migliore, abbattendo barriere e diffidenze, ma si valorizza meglio ciò che si possiede o che si vuole “vendere”. Riflessione, quest’ultima, che si può estendere facilmente a un intero sistema economico: soprattutto se questo sistema fonda gran parte delle proprie fortune sulla forza del brand e della qualità della vita. E se l’Italia diventasse il “Paese del sorriso”? Avrebbe acquisito un’arma che vale più di qualsiasi politica industriale.
Francesco Delzio
Fonte: “Avvenire” il 25 luglio 2015
Caro Direttore, preso atto della pessima informazione, che ogni giorno ci passano Giornali e Televisione pubblica o privata, notizie che sembrano bollettini di guerra, su ogni versante, l’articolo che leggo sul quotidiano “Avvenire”, mi pare possa essere una positiva riflessione per i Suoi lettori. Con tutta cordialità.
Marini Marino – Calvisano