Non sono mai stata una figlia perfetta, lo ammetto oggi, a 39 anni suonati. Sono nata in anticipo, perché avevo una gran fretta di conoscere mamma e papà, ma poi li ho fatti soffrire fin da piccina: malaticcia e con tanti problemi di salute, ho indotto mia madre a lasciare il suo lavoro per fare la genitrice a tempo pieno. Sono cresciuta, certo, ma non ho smesso di farli piangere: io che avevo dimostrato di avere così tanta voglia di vivere, venendo al mondo con quasi un mese di anticipo, poi, una volta diventata adolescente, ho iniziato a odiarla la vita, a sfidarla. E come si deve sentire una madre a vedere la propria figlia, la sua unica figlia, sempre triste e piena di dolore? E un padre? Sapete che cosa significa per un genitore assistere alla distruzione della sua creatura più di sè stesso? Il male oscuro, la depressione, mi aveva colpita: amavo il buio e odiavo la luce del sole. Il mio corpo dimagriva e ingrassava di continuo e sono arrivata a pesare meno di 50 kg per 170 cm di altezza. Mi comportavo male, urlavo ed ero sempre nervosa. E poi eccolo quel maledetto male alla testa, micidiale, che mi assaliva ogni giorno: esaurimento nervoso. Eppure io avevo una famiglia meravigliosa, perché stavo così male? Non mi sentivo accettata dai miei compagni di scuola: mi sono sempre sentita brutta e sfigata. Mi hanno sovente fatto sentire la figlia di nessuno e quasi mi vergognavo del mio cognome, che oggi porto con orgoglio, e del fatto che mio padre non avesse una laurea. Io non ero degna di loro.
Ho sofferto per anni, quasi in silenzio, finché il mio cuore si è indebolito, la mia mente si è ammalata e il mio colon ha ceduto.
Non ero più padrona di me stessa e della mia vita. Ho vissuto un’adolescenza terribile: non ho mai perso un anno di scuola e ho lottato tanto per la promozione al liceo classico che, parliamoci chiaro, non è propriamente una passeggiata! E se ci sono riuscita è grazie a mio padre, uomo straordinario, che la sera, dopo il lavoro mi aiutava a studiare e la mattina mi accompagnava a scuola. No, lo so che ve lo starete chiedendo, non è stato facile uscire da quella situazione: depressione, esaurimento nervoso e sindrome del colon irritabile. Avevo solo 16 anni. Ma ci sono riuscita. Come? Con cure e visite da psicologi etc? No, assolutamente no. Certo, alcuni antidolorifici li dovevo prendere perché i dolori al colon e alla testa, credetemi, in certi momenti erano insopportabili, ma il resto l’ho sempre rifiutato e, una volta compiuti i 18 anni di età, nessuno poteva obbligarmi a farlo. E non l’ho fatto perché sapevo che non mi sarebbe servito a nulla se non a farmi stare peggio. Non fraintendetemi: io stimo moltissimo chi esercita con amore e devozione questa professione, ma non era questo di cui avevo bisogno. Dovevo capire chi fossi davvero, ricominciare da me e iniziare a volermi bene. E per farlo ho scelto la strada dell’amore: quello di mia madre Mariella e di mio padre Ermanno. Loro mi sono stati accanto, sempre. Nella buona e nella cattiva sorte. Hanno sacrificato tutto per me. E insieme abbiamo vinto. Sì, io non ho vinto da sola. Noi tre insieme ce l’abbiamo fatta. Ho incominciato, un poco alla volta, ad amare la vita, apprezzandone le sue sfumature e anche i momenti no. Sono diventata forte, rimanendo comunque sensibile ma non fragile. Io non sono fragile. Sono sensibile. Sono due cose ben diverse. E se oggi sono qui e mi accingo a scrivere di me è perché non mi vergogno di quello che sono stata, anche se mi spezza il cuore e mi annienta l’anima per il dolore che ho provocato a mia madre e a mio padre, ma per far capire a voi figli che leggete che sono i vostri genitori, se sanno davvero esserlo fino in fondo, la vostra prima fonte di forza e amore, e a voi genitori, che esserlo significa esserci, esserci davvero per i propri figli, anche se anagraficamente parlando, sono adulti. Perché non si smette mai e poi mai di essere figli e genitori.
E io, ora lo so, sono stata davvero fortunata ad avere due genitori come loro, imperfetti come tutti, ma unici e dal cuore immenso come pochi. Grazie mamma Mariella e papà Ermanno non solo per avermi donato la vita ma anche per avermi permesso di viverla ancora e poi ancora.
Laura Gorini
(Ps. Ci tengo a firmarmi anche con il mio cognome perché sono fiera di te, papà. Di come ti sei fatto da solo, spezzandoti la schiena al lavoro per non far mancare mai nulla a me e alla mamma.
Ci sei sempre stato. E’ un onore per me essere tua figlia e cerco di meritarmi di esserlo, con il sudore della mia fronte)