Crisi, spread, pil, bot, bund…sono tutti termini di cui, volenti o nolenti, abbiamo ultimamente imparato il significato, vivendo, giorno per giorno, gli effetti vivi e concreti, di uno dei momenti economici più difficili della storia moderna dell’umanità. Tra le tante possibili soluzioni, però, raramente sentiamo parlare di decrescita. La decrescita è una corrente di pensiero politico, economico e sociale favorevole alla riduzione controllata, selettiva e volontaria della produzione economica e dei consumi, con l’obiettivo di stabilire una nuova relazione di equilibrio ecologico fra l’uomo e la natura, nonché di equità fra gli esseri umani stessi. Se la spina dorsale della civiltà occidentale risiede nell’aumento dei consumi e nella massimizzazione del profitto, parlare di decrescita significa immaginare non solo un nuovo tipo di economia, ma anche un nuovo tipo di società. Essa invita, dunque, ad una messa in discussione delle principali istituzioni socio-economiche, al fine di renderle compatibili con la sostenibilità ecologica, la giustizia sociale e l’autogoverno dei territori, restituendo una possibilità di futuro a una civiltà che sembra sempre più tendere all’autodistruzione. LA BIOECONOMIA Georgescu-Roegen, fondatore della bioeconomia, sostiene che qualsiasi scienza che si occupi del futuro dell’uomo, come, ad esempio, la scienza economica, deve necessariamente tener conto della ineluttabilità delle leggi della fisica, ed in particolare del secondo principio della termodinamica, secondo il quale alla fine di ogni processo la qualità dell’energia (cioè la possibilità che l’energia possa essere ancora utilizzata da qualcun altro) è sempre peggiore rispetto all’inizio. Qualsiasi processo economico che produce merci materiali, dunque, diminuisce la disponibilità di energia nel futuro e quindi la possibilità futura di produrre altre merci e cose materiali. Inoltre, nel processo economico anche la materia si degrada, ovvero diminuisce tendenzialmente la sua possibilità di essere usata in future attività economiche: una volta disperse nell’ambiente le materie prime precedentemente concentrate in giacimenti nel sottosuolo, queste possono essere reimpiegate nel ciclo economico solo in misura molto minore ed a prezzo di un alto dispendio di energia. Da ciò deriva la necessità di ripensare radicalmente la scienza economica, rendendola capace di incorporare i principi e i vincoli ecologici. Questa teoria della bioeconomia è poi stata tradotta nel sistema economico della cosiddetta “decrescita” LA DECRESCITA Le proposte dei sostenitori della decrescita si sviluppano su due piani: • a livello individuale, la scelta di stili di vita detti di semplicità volontaria: consumo consapevole, auto produzioni, “università del saper fare” etc. • a livello globale, una ricollocazione delle attività economiche al fine di ridurre l’impronta ecologica, gli sprechi energetici, l’impatto ambientale e le disuguaglianze sociali. Presupposti della decrescita, dunque, sono i seguenti: Il sistema produttivo ed economico, che dipende da risorse non rinnovabili, è basato sulla crescita illimitata del PIL, ma i principi della termodinamica e la limitatezza delle risorse materiali ed energetiche presenti nella Terra contraddicono tale modello. Vladimir Vernadskij, rileva che la crescita del PIL comporta la diminuzione dell’energia disponibile e l’aumento di rifiuti danneggiando gli ecosistemi terrestri. Non v’è alcuna prova della possibilità di separare la crescita economica dalla crescita del suo impatto ecologico. La ricchezza prodotta dai sistemi economici non consiste soltanto in beni materiali e servizi privati: esistono altre forme di ricchezza pubblica e sociale, come la salute degli ecosistemi, la qualità della giustizia, le buone relazioni tra i componenti di una società, il grado di uguaglianza, il carattere democratico delle istituzioni e così via. Le società attuali, condizionate dai consumi materiali non percepiscono, in generale, lo scadimento di ricchezze più essenziali come, ad esempio, la qualità della vita, e sottovalutano le reazioni degli esclusi, come la violenza nella periferie o il risentimento contro gli occidentali nei paesi esclusi dallo sviluppo economico di tipo occidentale. I sostenitori della decrescita affermano che la crescita economica- intesa come accrescimento costante del Prodotto Interno Lordo (PIL) – non porta a un maggior benessere. Questa idea è in contrasto con il “senso comune” della società cosiddetta “moderna”, che identifica la crescita del PIL con l’aumento del livello di vita. Il miglioramento delle condizioni di vita deve quindi essere ottenuto non con l’aumento dei consumo di merci ma con il miglioramento dei rapporti sociali, dei servizi collettivi, della qualità ambientale. La costruzione di questo nuovo modello vede l’impegno di numerosi intellettuali, al seguito dei quali si sono formati movimenti spesso non coordinati fra loro, ma con il fine comune di cambiare il paradigma dominante dell’aumento dei consumi quale fonte di benessere. Un esempio di questi gruppi sono i gruppi d’acquisto solidale(GAS) o gli ecovillaggi.Riconosciuta, quindi, la critica dell’indicatore economico PIL, puramente quantitativo e non qualitativo, sono sorti una serie di indicatori per comprendere meglio la società, utili a pianificare politiche più adeguate alla qualità della vita. Nel 1972, ad esempio, il sovrano del Bhutan conia il Gross national happiness per misurare la qualità della vita e il progresso sociale. Nel 1994, invece, un’istituzione canadese, Redefining Progess, ha realizzato il Genuine Progress Indicator (GPI). La fondazione ENI Enrico Mattei col WWF, ha realizzato, poi, un indicatore macroeconomico denominato RIBES (Ricostruzione di un Indice di Benessere Economico Sostenibile). La New Economics Foundation, infine, nel luglio del 2006, presenta l’Happy Planet Index(HPI). L’HPI combina l’impatto ambientale con il benessere umano per misurare l’efficienza ambientale con cui, paese per paese, le persone vivono una vita lunga e felice. Un buon indicatore ecologico aggregato di qualità delle acque fluviali è anche l’Indice biotico esteso (IBE). Il 27 dicembre 2010 l’ISTAT comunica che sarà avviato un “Gruppo di indirizzo sulla misura del progresso della società italiana” per sviluppare un approccio multidimensionale del “benessere equo e sostenibile” (Bes). Sulla base di queste teorie, in Italia, è nato Il Movimento per la Decrescita Felice (MDF), un movimento sorto e cresciuto informalmente dall’inizio degli anni 2000 sui temi della demitizzazione dello sviluppo fine a se stesso, e successivamente sfociato in un’associazione fondata da Maurizio Pallante, esperto di risparmio energetico. Il movimento è chiaramente ispirato alla decrescita teorizzata da Nicholas Georgescu-Roegen, fondatore della bioeconomia, ed in linea con il pensiero di Serge Latouche. Ad oggi vi sono circoli, associazioni di promozione sociale regolarmente registrate, denominati Movimento per la Decrescita Felice.