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L’estate addosso

Secondo me, una delle cose più difficili, nella vita, è trovare la “giusta distanza”. Soprattutto quando si parla dell’amore che, le distanze, ha tendenza a cancellarle. E allora è facile passare dal “tutto” al “niente”, dal “mi va bene qualunque cosa”, al “non c’è nulla che vada”, dal “non ci lasceremo mai” al “mi manca l’aria, lasciami respirare”. E non parlo solo dei rapporti di coppia, ma anche, e forse soprattutto delle relazioni tra genitori e figli. Visto che per un padre o per una madre è sempre molto difficile capire quale sia questa “giusta distanza” da mantenere con i propri bimbi, anche quando non sono più proprio bimbi, ma ormai adulti e indipendenti.
Ne stavo parlando l’altro giorno con Renato. Non è un periodo facile per lui e le domande che si pone sono tante. Anche perchè Claudia, sua figlia, non sta bene. E allora è tutto un recriminare e un sentirsi in colpa.
“Cerco di avere un atteggiamento corretto e di sbagliare il meno possibile. Ma ormai mi sento perso, non so più che fare. E’ giusto continuare a darle tutto quello che mi chiede ora che ha vent’anni? E’ giusto che non si faccia viva per mesi, non risponda al cellulare, non mi dia mai nemmeno un cenno di vita e poi, all’improvviso, mi tempesti di messaggi, richieste e pretese? Devo essere permissivo o restrittivo? Devo essere fermo o accondiscendente?”
Ma, ovviamente, non esiste una risposta unica e sarebbe assurdo pretendere il contrario. Anche perchè in amore, i regni del “giusto” e dello “sbagliato” non hanno confini precisi. E allora, spesso, è vero tutto e il contrario di tutto.
“Sai Renato, in realtà si sbaglia sempre. O quasi. Anche perchè non è giusto, come dici tu, che Claudia a volte non si faccia mai viva e poi ti sommerga di messaggi. Ma non è giusto nemmeno che un padre non sopporti gli eccessi di sua figlia. E quando utilizzo il termine sopportare, lo utilizzo nel senso etimologico di portare sotto, ossia di sostenere, reggere, permettere, tollerare, anche se poi ci sono le sfumature legate a questo sostegno, ossia il fatto di subire pazientemente, talvolta anche soffrire. Certo, ci deve anche poter proteggere e non essere schiacciati dal peso che si porta. Ma se non sono i genitori a sopportarci, chi altro potrebbe farlo?”
E’ una questione di “giusta distanza”, come dicevo prima. Quella distanza che permette al tempo stesso di “essere presenti” ed “essere distanti”. Quella distanza che permette di “dipendere” dall’oggetto del proprio amore, ma anche di “tenersi su da soli” quando l’oggetto non c’è. Quella distanza che ci fa capire che l’amore non conosce né crediti né debiti e che, per sopravvivere, si nutre al tempo stesso di “limiti” e di “libertà”. Visto che non c’è amore possibile senza compromessi. Non c’è amore possibile senza la consapevolezza che l’altro non ci appartiene mai veramente, anche se l’assenza definitiva sarebbe irreversibile. Nemmeno la persona che amiamo di più può ripagarci dei torti dell’esistenza. E forse l’errore più grande che si può fare è pensare di non avere il diritto di sentirsi a volte impotenti.
Nella vita, del resto, non c’è molta coerenza. E l’unica cosa che si può cercare di fare, quando si ama, è scendere a patti con se stessi e con gli altri. Ascoltare e ascoltarsi. Visto che è solo quando si ascolta il rumore che ci si porta dentro che si può poi essere pronti ad accogliere la parola altrui.

Ricordo il sole fragrante e io in garage con i sandaletti, nell’emozione infinita.
Il mio papà che carica le valigie nel baule e, intelligentemente, evita la fatica alla mia mamma.
“Si parte per il mare piccola Jù!”, e io che non riesco a chiudere occhio la notte precedente e faccio disegni con le mie dita piccole nel buio della mia cameretta, e poi, appunto il giorno dopo, si parte.
Nessun sospetto: la felicità esisteva, e io l’annusavo. Ero piccola, era più di vent’anni fa.
Ecco il mio potentissimo imprinting.
Sono cresciuta vivendo l’estate come un’attesa interminabile e il mare come un sogno esaudito.
Anni di castelli di sabbia, di braccioli e di pedalò sul mare: la custode dell’estate ero io.
Poi ho smesso di essere bambina. Il mare è diventato troppo grande per non averci paura e troppo piccolo per contenere tutti i miei ricordi.
Sono andata via di casa. Ci torno tutti i giorni della settimana a pranzo, ma non è più la stessa cosa. L’estate, come l’ho vissuta io, è un rimpianto sullo sfondo.
Finchè, più di due anni fa, mi sono innamorata. Ma una cosa da restarci secchi, come direbbe il giovane Holden. E, quasi senza pensarci, sono andata al mare con il “mio” amore. E sono stata bene. E sono stata male. E sono stata felice. E ho ritrovato anche la “mia” Jussin, ritornando piccola.
Non importa se quest’anno me ne andrò al mare da sola -avevate dubbi?- mi divertirò, scriverò in spiaggia, leggerò, andrò in bicicletta per chilometri e mi prenderò cura di me. E potrò fare tutto ciò che voglio perchè l’estate è sacra e inviolabile. Mare o lago o montagna, quale stagione è più potente nel farci sentire -almeno un pò- stupidi nel nostro affanno, odiosi nel nostro cinismo? Nel farci tornare, almeno un pò, piccoli? Ecco che cosa vi auguro, per questa estate: il dono di essere piccoli.

“…prima che il vento si porti via tutto
e che settembre ci porti una strana felicità,
pensando ai cieli infuocati
e ai brevi amori infiniti,
respira questa libertà…
l’estate e la libertà.”

J.

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