Ti definisti “artista” e artista lo sei stata davvero. Volevi insegnare a me, cosa significava essere artista. Dicevi che ci sono degli artisti che creano della vita un’arte. Avrei da chiederti ancora qualcosa… ma diventa sempre più difficile comunicare con te, perché ogni volta che ti chiamo non so più in quale lingua parlarti.
Ti sento sempre più lontana. Non ti sei accorta che il tempo è diventato urgente, che stiamo sprecando distanze, inutilmente, e che non torneranno più i giorni degli eventi e che l’avvenire è più corto, più serio, più flebile. Meno intenso.
Io mi domando: perché non hai voluto vivere vicino a me? Avrei potuto accudirti, come fanno tante famiglie. Ma tu no. Tu no.
Non lo hai voluto fare. Sei troppo indipendente. Ti piace vivere per i fatti tuoi. Da artista. Ovviamente.
Tu allora, come ora, non te ne fregava niente.
Donna piccola e bizzarra. Codarda. Fiera e coraggiosa. Hai preferito startene in solitudine ad aspettare che un regista ti desse l’ennesima parte. Da recitare e da cantare. Sarai l’Aida? O sarai la Carmen? Mentre io sono qui che penso a cosa è giusto fare. A rimurginare. Da persona quasi normale.
Con la tua passione eri arrivata in alto, ma mai oltre, per non rinunciare ad una vita da bohémiene. All’essenza delle cose.
Ora ti ritrovi in compagnia di fantasmi (io ti domando chi sono io, Desdemona o Violetta?) e a guardare da vetri appannati gli anni consumati. Ma so anche che, da brava artista che sei, saprai goderti gli ultimi applausi delle foglie al vento e a recitare con gran maestria la scena finale.
Chissà se ti ricordi ancora, quando studiavi canto e speranzosa gorgheggiavi. Già ti vedevi dal primo istante cantante. E tuo padre che brontolava e diceva: “Vai a lavorare che è meglio”.
Perché non hai continuato? Le altre lo hanno fatto. E tu che avevi incominciato così bene, hai rinunciato per un grande amore e quel grande amore che cosa ti ha dato? Perché fosti così severa con Renato? Avresti dovuto saperlo che l’uomo è cacciatore per natura e se poi lui visse una insignificante avventura, potevi perdonarlo, no?
Potevi recitare anche allora una parte. No. Tu no. Tu accettavi solo ruoli da prima donna. E prima donna sei stata. Poi rinunciasti a cose futili, per diventare l’artista del saper vivere. Ripercorrere il tempo a ritroso è sempre un poco doloroso.
Ma che vita che abbiamo vissuto, non la cambierei con nessuno. Giuro.
Noi siamo le artiste, dell’arte del vivere.
E tu hai insegnato a me di non cambiare.
Di non barattare la fanciulla in me con la donna fatale. Noi non temiamo il furore degli eventi.
Siamo state plasmate da mani forti e sapienti.
Siamo le libellule di una stagione sola.
Noi siamo le artiste del saper vivere.
La morte non la temiamo. Incomincio anche ad assomigliarti. Sempre di più. Anch’io come te ho conosciuto il disordine, ma anche il valore di sentimenti forti e profondi, il dolore, le gioie (poche) i sogni (tanti). I miei cassetti traboccano di poesie, come traboccavano i tuoi di musica.
Come te, non butto via niente. E mai niente mi ritrovo. Nessun programma, nessuna aspettativa.
E sorrido alla gente, come dicesti tu di fare.
La tua fu quella di scalfirmi il pensiero di questa arte. Se potessi chiedere un favore a Dio, gli chiederei di farmi ritornare bambina per una sola giornata di sole, a ripercorrere le vie innevate della nostra città, con te che mi traini la slitta sulla neve.
Te e papà sottobraccio, a guardare le vetrine in festa. Ma so già che quel Dio non potrebbe accontentarmi, perché non è mai successo che tu, papà ed io fossimo una famiglia normale. Perché? Perché noi siamo artiste. Artiste del vivere. O del sopravvivere. Soprattutto siamo straordinariamente egoiste!
Claudia