Lo scrittore vero è un artista e siccome fa nella vita ciò che ama e per cui è nato, non lavora nemmeno un giorno, per parafrasare Confucio.
Ama definirsi una romanziera, Stefania Convalle. Scrittrice e poetessa, è anche una brava editrice.
Stefania, oggi possiamo dire che vivi di scrittura, ma quale è stato il tuo percorso professionale e umano che ti ha permesso di fare questa scelta?
Sicuramente sono stata fortunata ad avere la possibilità di scegliere di intraprendere una strada che prevede di avere le spalle coperte. Devo dire grazie ai miei genitori che mi hanno lasciata in una condizione per potermelo permettere. Certo è che comunque c’è voluta una gran dose di coraggio, di determinazione, di sudore e di rispetto per l’opportunità avuta: forse anche per questo motivo ci metto tanto impegno e lavoro senza guardare l’orologio né il giorno della settimana.
Ovviamente – come in ogni cosa – ci sono i pro e i contro. I tuoi quando hai intrapreso questa strada?
I pro sono rappresentati dalla libertà di fare ciò che si ama di più. E anche essere il capo di sè stessi, anche se sono molto esigente prima di tutto verso di me e a volte mi manderei a quel paese! I contro sono il lato B dei pro: tutto dipende da me, nel bene e nel male.
C’è stato forse un commento in particolare che ti ha fatto intuire che fosse questo il percorso da intraprendere?
C’è stato un cammino – forse, un Destino – che mi ha portato, un passo alla volta, verso questa direzione. Niente accade per caso.
E qui dovevo arrivare. Mi ci ha portato la Vita.
A proposito, mai nessun rimpianto al riguardo?
No, nessun rimpianto. Anche se a volte mi dico: “Ma non potevo fare la panettiera?!”.
Tenere in piedi tutta la macchina organizzativa della casa editrice, i laboratori di scrittura, gli eventi, le pubbliche relazioni e la mia scrittura, beh, non è affatto facile. A volte vorrei scappare da tutto e fare l’eremita. Ma in fondo questa è la mia vita e mi piace così.
Ti consideri una persona “di pancia”?
Sì, “di pancia”, in tutto, nel lavoro, nell’amore e nei rapporti con gli altri. Vivo d’istinto, mi relaziono a pelle, anche se ogni tanto mi sbaglio e prendo qualche cantonata, ma è la vita, si sa. Ma non mi cambierei mai.
Tu sei molto attiva anche sui Social e tendi ad avere un rapporto diretto con gli utenti, con i lettori e con gli scrittori. Credi dunque che sia questa la chiave per arrivare al cuore pulsante della gente?
Sì, credo sia la strada giusta, anche se quando le cose crescono, crescono anche le relazioni sociali, i contatti, e si dovrebbe avere una giornata di 48, anzi, 72 ore, per accontentare tutti. Ma questa è la strada che ho scelto e che mi piace, perché nasce spontaneamente da me e dal mio modo di essere.
Questa modalità funziona perché è sincera e non costruita. Allora, sì, che si arriva al cuore della gente.
I giovani, sono attivi in tale direzione? Quali sono le loro domande che ti hanno maggiormente colpito in questo periodo?
Devo dire che i miei rapporti si orientano verso le fasce d’età un po’ più avanzate, rispetto ai giovani. Forse anche perché, come CE, apro le porte a chi è bravo, al di là dell’età – il mio autore più “grande” ha 91 anni – e mi piace dare fiducia a chi, in una società che sembra non dare spazio a chi non è più giovane, la merita. Ma nonostante questo cappello, con i giovani ho un ottimo dialogo, e riesco a comunicare con loro, basti pensare che proprio i giovani mi hanno assegnato i premi più importanti da me ricevuti: Il Premio Giovani nella Rassegna della Microeditoria, per l’anno 2017 e 2018 con due romanzi “Dipende da dove vuoi andare” e “Il silenzio addosso”, nei quali i temi trattati sono impegnativi, eppure loro hanno colto tutte le sfumature dimostrando una grande maturità.
Credi che il lungo lockdown li abbia aiutati ad apprezzare in particolare modo il piacere della lettura?
Penso che i giovani che amano leggere, come anche gli adulti, abbiano colto il lockdown come un’occasione per potersi dedicare maggiormente alla lettura. Per coloro che, al contrario, non sono attratti dai libri, non credo che la sosta forzata abbia fatto il miracolo.
A te personalmente quanto ami dedicarti alla lettura di un buon libro, al di là della tua professione?
Purtroppo il tempo è davvero poco e leggo sempre, tutto il giorno, per lavoro. La lettura per piacere è un po’ sacrificata. Ma continuo a comprare libri che creano una meravigliosa pila sul comodino!
Ho trovato, però, un escamotage a questa situazione: leggo per i miei allievi di scrittura opere che scelgo di scrittori della letteratura, sia contemporanea che non, col doppio risultato di leggere per il mio piacere e condividere con loro un momento di crescita culturale per tutti. E poi, come si dice… I piaceri, se condivisi, si godono di più!
Perché – a tuo avviso – oggigiorno lo scrittore non è considerato un lavoratore a tutti gli effetti?
Direi che forse bisogna fare una precisazione: in tanti scrivono, ma secondo me in pochi possono definirsi davvero scrittori. Lo scrittore è un artista, non è solo una persona che scrive un romanzo.
Lo scrittore è una scelta di vita. È uno stato mentale. È talento. Detto questo, se uno scrittore è tale, che si mantenga con la sua arte poco conta.
Lo scrittore è un lavoratore? Secondo me no. Lo scrittore vero è un artista e siccome fa nella vita ciò che ama e per cui è nato, non lavora nemmeno un giorno, per parafrasare Confucio.
E infine, un augurio e/o pensiero che vuoi rivolgere ai tuoi colleghi scrittori ed editori?
Fatelo sempre col cuore. Che siate editori, che siate scrittori. Non fatelo per i soldi, altrimenti avete già perso.