di Laura Gorini
Credo che per la maggior parte delle mie opere la musica che più le rappresenti sia quella celtica o antica in generale.
È una bravissima e accorta illustratrice ma anche un’autrice degna di nota, la bravissima Silvia Dotti, che nel corso del suo lavoro non manca mai e poi mai nemmeno di continuare a studiare, sperimentale e documentarsi, al fine di migliorare sempre di più la qualità e la conoscenza per creare lavori sempre più incredibili e meravigliosi. Ecco dunque che cosa ci ha raccontato di se stessa e del suo magnifico lavoro la bravissima Silvia in questa splendida e accorata chiacchierata a cuore aperto.
Silvia, nasce prima l’amore per il disegno o per la scrittura?
Indubbiamente per il disegno. Quando ero piccola mio padre aveva un amico alla Fabbri Editori. Quando andava a trovarlo, tornava sempre a casa con un volume de “Le fiabe Sonore” per me e per mia sorella. Sono cresciuta copiando le illustrazioni incantevoli di quei libri. I miei genitori lavoravano entrambi in una famosa azienda produttrice di colori di belle arti, quindi avevo sempre un sacco di materiale tra tele, colori, pennelli. Se sommiamo questo alle Fiabe Sonore il gioco è fatto. Disegnare era il mio più grande passatempo. La scrittura è nata molto più tardi, in età adulta. Non che da ragazzina non mi piacesse scrivere. Ho recuperato alcuni dei miei quaderni delle elementari e ho riletto i miei temi, tra i quali vi erano anche racconti di fantasia. Ne ricordo uno in particolare. Il tema era libero e io inventai un racconto giallo. A mia mamma piacevano i gialli: a casa mia giravano i gialli Mondadori e alla televisione guardavamo Poirot. Il racconto che scrissi non aveva né capo né coda, rileggerlo adesso fa morire dal ridere. Però mi ricordo che terminai con “…e l’assassino era il maggiordomo”. In età adulta ho coltivato il mio amore per le fiabe, le leggende e il folklore e all’età di ventisette anni, scrissi il primo racconto destinato ad essere letto da altri. Il titolo era “L’Ispettore Scheggia e il Mistero della Chiave di Sol” e partecipai ad un concorso letterario, classificandomi tra i primi quattro posti. Da quel giorno non ho più smesso di scrivere.
Quando ti accingi a lavorare a un racconto, l’idea da cosa nasce?
Traggo molta ispirazione dalle leggende, dal folklore e dalle fiabe popolari. Il mio primo libro pubblicato da Edigiò “La Curiosità e il gatto”, ad esempio, prende ispirazione dal detto “la curiosità uccise il gatto”. Il mio primo romanzo per ragazzi, che uscirà il prossimo anno con Tomolo Edizioni e avrà per titolo “Le cinque sorelle di Kintail”, trae ispirazione da una leggenda scozzese che scoprii durante un mio viaggio nelle Highlands nel 2006. Tuttavia, la maggior parte dei miei scritti sono rielaborazioni di leggende e fiabe popolari, per la maggior parte scritti in rima. Come è il caso dell’ultimo mio libro uscito “Sbranafèr e Quel-che-fila-cume-il-vent”, una fiaba che mi raccontava mio padre quando ero piccola o “Il Miracolo di Orval”, una leggenda legata al personaggio storico di Matilde di Canossa.
La copertina è il biglietto da visita di un’opera, quando capisci che è quella giusta?
La maggior parte delle volte realizzo la copertina del libro a parte, alla fine delle illustrazioni. Si tratta in genere di un’illustrazione che sintetizza un po’ tutto il mio lavoro e la storia del libro. Capita però, a volte, che alla fine di alcune illustrazioni mi ritrovi a dire “questa quasi, quasi, la vedrei bene come copertina”. La scelta della copertina è comunque un lavoro di squadra e viene decisa insieme a Viviana (l’editrice) ed Elena (responsabile della parte grafica) che hanno più presente anche il discorso commerciale.
Solitamente sei una persona istintiva o più riflessiva?
Un po’ entrambe. Se in alcune volte prevale l’istinto in alcune decisioni, a questo fa subito seguito la parte di riflessione. Vale anche per le tavole illustrate. Ad esempio, quando ho illustrato Sbranafèr, d’istinto mi è venuto di rappresentare i personaggi e i paesaggi come me li immaginavo da piccola. I cani protagonisti della storia me li immaginavo come Belle di Belle e Sébastien (che guardavo sempre) e i paesaggi mitteleuropei. Poi, riflettendo, ho deciso di lasciare i cani come me li immaginavo da piccola, ma per quanto riguarda i paesaggi, ho optato per l’illustrazione di un contesto lombardo (il villaggio rappresentato è ispirato a Corneliano Bertario, in provincia di Milano), poiché, essendo la fiaba probabilmente di origine lombarda, rappresentare un paesaggio mitteleuropeo mi sembrava non coerente.
Quando disegni o dipingi ti capita mai di cambiare idea sul modo di lavorare a un progetto?
Capita, certo che capita. Capita che cominci a lavorare ad un’illustrazione che immagino in un certo modo e poi venga fuori un disegno completamente diverso. A volte è come se il disegno uscisse da solo e io non facessi che assecondarlo. Però anche questo mi piace perché, dopotutto, ogni lavoro è sempre una sorpresa.
E quando ci lavori ami isolarti? In che situazione ami lavorare?
Mi piace isolarmi. Questo non vuol dire che mi piaccia stare da sola, ma nel momento in cui creo qualcosa, è come se il mondo esterno non esistesse. Sono solo io, la mia immaginazione e i miei colori. Il tutto spesso accompagnato dalla musica, che varia a seconda del mio umore e del pezzo che sto per realizzare.
Se dovessi scegliere una colonna sonora per la tua arte, quale sceglieresti e perché?
Credo che per la maggior parte delle mie opere la musica che più le rappresenti sia quella celtica o antica in generale. La musica celtica e irlandese, che poi è quella che ascolto la maggior pare delle volte quando creo un nuovo disegno, è magica proprio come il mondo che vado a rappresentare.