La maturità
Nel 1755 con la tesi di laurea Principiorum Primorum cognitionis metaphysicae nova delucidatio ottenne la licenza di magister, mansione che esercitò per quindici anni. Non aveva però ancora uno stipendio fisso, in quanto pagato direttamente dagli studenti, e ciò lo obbligava a lavorare molto; preparava meticolosamente le lezioni, dimostrandosi un buon insegnante, piacevole da ascoltare. Nel 1770 lavorò come vice-bibliotecario presso la Reale Biblioteca, stesso anno in cui pubblicò la Dissertazione (De mundi sensibilis atque intellegibilis forma et principiis), testo grazie al quale riuscì a ottenere la cattedra di metafisica e logica all’Università di Königsberg, dove svolse la professione sino alla morte avvenuta nel 1804, compiendo con scrupolosità i suoi obblighi accademici anche quando, per debolezza senile, gli divennero estremamente gravosi.
È in questi anni che scrisse le sue tre più grandi opere: la Critica della ragion pura, la Critica della ragion pratica e la Critica del giudizio. Herder, che fu suo allievo negli anni 1762-1774, ha lasciato questa immagine di lui: « Io ho avuto la felicità di conoscere un filosofo, che fu mio maestro. Nei suoi anni giovanili, egli aveva la gaia vivacità di un giovane, e questa, credo, non lo abbandonò neppure nella tarda vecchiaia.
La sua fronte aperta, costruita per il pensiero, era la sede di una imperturbabile serenità e gioia; il discorso più ricco di pensiero fluiva dalle sue labbra; aveva sempre pronto lo scherzo, l’arguzia e l’umorismo, e la sua lezione erudita aveva l’andamento più divertente. Con lo stesso spirito col quale esaminava Leibniz, Wolff, Baumgarten, Crusius, Hume, e seguiva le leggi naturali scoperte da Newton, da Keplero e dai fisici, accoglieva anche gli scritti allora apparsi di Rousseau, il suo Emilio e la sua Eloisa, come ogni altra scoperta naturale che venisse a conoscere: valorizzava tutto e tutto riconduceva a una conoscenza della natura e al valore morale degli uomini priva di pregiudizi.
La storia degli uomini, dei popoli e della natura, la dottrina della natura, la matematica e l’esperienza, erano le sorgenti che avvivavano la sua lezione e la sua conversazione. Nulla che fosse degno di essere conosciuto gli era indifferente; nessuna cabala, nessuna sètta, nessun pregiudizio, nessun nome superbo, aveva per lui il minimo pregio di fronte all’incremento e al chiarimento della verità.
Egli incoraggiava e costringeva dolcemente a pensare da sé; il dispotismo era estraneo al suo spirito.
Quest’uomo, che io nomino con la massima gratitudine e venerazione, è Immanuel Kant: la sua immagine mi sta sempre dinanzi. »
(Johann Gottfried Herder)
La vita di Kant, priva di avvenimenti notevoli, fu dedicata interamente alle attività intellettive, a cui fece da cornice uno stile di vita regolare e abitudinario. La sua giornata cominciava alle cinque, subito dedicata al lavoro, e continuava con la colazione, poi una passeggiata, il riposo alle dieci. Non lasciò mai la sua città natale, neanche dopo la chiamata dell’Università di Halle che gli offriva uno stipendio più alto, un maggior numero di studenti e di conseguenza anche maggior prestigio. Era convinto che Königsberg fosse il posto ideale per i suoi studi.
La censura
L’unico fatto che uscì davvero fuori dai canoni di una vita completamente dedicata allo studio fu lo screzio che ebbe con il governo prussiano a seguito della seconda edizione, pubblicata nel 1794, dell’opera Religione nei limiti della semplice ragione, ma con l’incoronazione di Federico Guglielmo III la libertà di stampa venne ripristinata e Kant rivendicò la libertà di pensiero nel Conflitto delle facoltà, del 1798.
La morte
Morì nel 1804, dopo essere stato afflitto nell’ultimo decennio della sua vita da un decadimento delle funzioni cognitive ed altri disturbi che permettono di ipotizzare che fosse afflitto da Alzheimer o comunque da un’altra malattia dementigena, mormorando “Es ist gut” (“Va bene”).
Sulla sua tomba vi è un epitaffio che recita l’explicit della Critica della ragion pratica: (DE)
« Zwei Dinge erfüllen das Gemüt mit immer neuer und zunehmender Bewunderung und Ehrfurcht, je öfter und anhaltender sich das Nachdenken damit beschäftigt: Der bestirnte Himmel über mir und das moralische Gesetz in mir. » (IT)
« Due cose riempiono la mente con sempre nuova e crescente ammirazione e rispetto, tanto più spesso e con costanza la riflessione si sofferma su di esse: il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me. »
(Epitaffio sulla tomba di Immanuel Kant dalla Critica della ragion pratica)
Il pensiero
Uno dei principali contributi della dottrina kantiana è l’aver superato la metafisica dogmatica operando una rivoluzione filosofica tramite una critica della ragione che determina le condizioni e i limiti delle capacità conoscitive dell’uomo nell’ambito teoretico, pratico ed estetico.
La Critica della ragion pura, pubblicata nel 1781, definisce il metodo del filosofare a cui Kant si atterrà anche nelle due opere successive (Critica della ragion pratica e Critica del giudizio), come pure in altri lavori posteriori. La sua attività di pensatore riguarda prevalentemente la gnoseologia, l’etica e l’arte, ma ebbe in gioventù anche interessi scientifici, che coltivò sino al 1760.
L’ipotesi cosmogonica della nebulosa primitiva, esposta nel 1755 nella Storia universale della natura e teoria del cielo (che egli desunse da Buffon), ebbe molta fortuna e gli diede fama anche nel campo dell’astronomia. Essa fu enunciata proprio da Laplace che la rielaborò e la rilanciò nel 1796 in Esposizione del sistema del mondo.