Lunedì 15 aprile 1912
Affonda il Titanic:
1517 vittime, 706 sopravvissuti
• Alle 12.27 a.m. (le 10.27 p. m. di New York) Jack Phillips, marconista del Titanic, lancia il classico segnale di soccorso (C.Q.D., «Come quick danger», venite presto pericolo), poi l’S.O.S (tre punti, tre linee, tre punti del codice Morse, associato nel linguaggio popolare alla frase “Save Our Souls”, salvate le nostre anime), ricevuto alle 12.35 dal piroscafo Carpathia, che si trova a 58 miglia e subito si mette in marcia per il salvataggio (il telegrafista del mercantile Californian, che si trova ad appena 10 miglia, è andato a dormire, o almeno questa è la scusa per il mancato soccorso). Alle 12.40 l’architetto navale Thomas Andrews e il comandante Edward John Smith ispezionano i danni e concludono che il supertransatlantico è perduto: «Galleggerà al massimo ancora due ore». Alle 12.45 viene calata in mare la prima delle trentadue scialuppe, ognuna capace di ospitare 60 persone (per un totale di 1920): poiché non è stato adeguatamente preparato a questa evenienza, l’equipaggio, temendo che l’imbarcazione si schianti mentre viene calata in mare, evita di sfruttarne al massimo la capienza dando il via libera ad appena 28 persone. Molti passeggeri, convinti che presto arriveranno i soccorsi, preferiscono restare a bordo del transatlantico piuttosto che scendere in mare al freddo e al gelo. All’1.30 1.700 persone si trovano ancora a bordo: le barche non bastano più, nello scafo sono già penetrate 31 mila tonnellate di acqua, metà Titanic è sommerso. Intorno alle 2 il transatlantico si spezza in due tronconi, venti minuti più tardi affonda. Le vittime italiane accertate sono 34, in gran parte camerieri residenti in Inghilterra. Giovedì 18 aprile 1912
Arrivano a New York i superstiti del Titanic
• Alle 20.27 arriva a New York il Carpathia, con a bordo i superstiti dell’affondamento del Titanic (706 su 2223 passeggeri). La nave attracca accolta da una folla di migliaia di persone, il passeggero Lawrence Beasley racconta: «Ero coricato da 40 minuti, allorché sentii un piccolo urto, poi un secondo, ma non abbastanza serio da preoccupare alcuno. Però le macchine si fermarono. Andai sul ponte e vi trovai altri passeggeri venuti come me, per sapere perché il vapore si era fermato; ma nessuno sembrava preoccupato. Attraverso le finestre del fumoir, vedemmo alcuni passeggeri che giuocavano alle carte. Entrammo per chiedere loro se sapevano ciò che era avvenuto.
Sembrava che essi avessero udito un urto un po’ più forte e che avessero visto passare presso il vapore un’enorme montagna di ghiaccio. Credettero che l’avessimo toccata di fianco. I giocatori continuarono la loro partita alle carte senza pensare al disastro. Mi ritirai nella mia cabina e non vidi più alcuno dei giocatori di carte, né i testimoni oculari dell’urto. Un po’ più tardi, udendo altri passeggeri saliti sul ponte, mi ci recai di nuovo, trovai che il vapore inclinava dalla parte anteriore. Ridiscesi e mi vestii un po’ meglio. Mentre mi vestivo, udii gridare l’ordine: “Tutti i passeggeri sul ponte con la cintura di salvataggio”. Salimmo lentamente con le cinture agganciate intorno a noi. La nave restava assolutamente senza movimento. Non si scorgeva però alcuna traccia di accidente.
Credemmo che il vapore stesse per continuare il suo viaggio fra qualche minuto, dopo qualche piccolo accidente che sarebbe stato facilmente riparato.
Un momento più tardi vedemmo i marinai togliere le cinture dei battelli di salvataggio e gli equipaggi prender posto sui fianchi, tenendo le corde pronte per metterle in acqua. Allora cominciammo a comprendere che la cosa era più seria di quanto si fosse creduto dapprima.
Udimmo dare l’ordine a tutti gli uomini di ritirarsi dai battelli e a tutte le donne di discendere sul ponte B. Gli uomini si ritirarono e rimasero in un silenzio assoluto. I battelli vennero fatti discendere. Quando giunsero al livello del ponte B, le donne vi entrarono senza confusione, salvo alcune che rifiutarono di lasciate i loro mariti. In qualche caso esse furono strappate ai loro mariti e spinte sui battelli, ma parecchie furono autorizzate a rimanere, perché non vi era alcuno per insistere sulla loro partenza. Vedemmo i battelli toccar l’acqua e scomparire nelle tenebre. Le operazioni continuarono senza disordine.
Non vi fu alcun panico e nessun caso di donne isteriche come si potrebbe immaginare. Di fronte al pericolo imminente, si procedette così lentamente che è meraviglioso come tutti abbiano conservato il sangue freddo. Ad uno ad uno i battelli furono riempiti di donne e di bambini e scomparvero nella notte. Più tardi fu dato l’ordine agli uomini di entrare nei battelli da tribordo. Io ero a babordo e poco dopo udii una voce: “Vi sono ancora donne?”. Guardando sopra il ponte, vidi il battello n.13 sospeso al livello del ponte B e a metà pieno di donne. Qualcuno dell’equipaggio mi vide e mi chiese: “Vi sono ancora donne sul vostro ponte?”. Io risposi: no. Il marinaio disse allora: “Voi potete saltare!”. Io caddi nel fondo del battello, che cominciava a scomparire.
Due signore furono spinte attraverso la folla del ponte B ed io entrai nel battello seguito da un bambino di dieci mesi.
Avemmo un momento di ansietà. Prima di toccare l’acqua, non avevamo veduto né ufficiali, né sottufficiali nel nostro battello, e neppure marinai che sapessero prendere il comando. Un macchinista gridò: “Qualcuno trovi l’apparecchio che trattiene il battello con le corde” ma nessuno seppe trovarlo e noi cercammo nella notte a tentoni. Era difficile muoversi con sessanta o settanta persone nel battello. Galleggiammo sull’acqua e fummo trascinati parallelamente al vapore. Tutto ad un tratto vedemmo il battello numero 14 che stava per discendere direttamente su di noi minacciando di sommergerci.
– continua 3