Quali cure per chi “non vuol vivere?”.
La rilevanza nel fenomeno dei suicidi è tale da imporsi anche a livello scientifico. Il problema è di stabilire in che misura ciò che sta avvenendo tra adolescenti e giovani, anziani e persone in difficoltà possa essere spiegato secondo gli approcci tradizionali o richieda invece uno sforzo nuovo di comprensione.
Sembra che i maggior casi di suicidio avvengano tra popolazioni ricche, prevalentemente di matrice protestante con uno scarso tessuto di relazioni comunitarie e quindi più esposte al fenomeno della solitudine.
Per comprendere in modo adeguato a gesti quali il suicidio, occorre riflettere su due ordini di problemi: la percezione circa il “sentimento dell’esistenza” e l’eventuale freno alla tendenza al suicidio costituito da un lato dal credo religioso e morale e dall’altro dalla rete di legami che si instaurano tra le persone.
Ciò significa, in primo luogo, che la decisione di suicidarsi non deriva innanzi tutto dall’avere buone ragioni per morire, ma cattive ragioni per vivere. In altri termini: esistono individui che sanno “reggere” con maggiore forza un disagio o un malessere passeggero, mentre altri reagiscono subito con tendenze suicide più elaborate perché viene meno una rete di protezione e di dissuasione che può iniziare dalla coscienza della persona ma che coinvolge amici e parenti. Chi non ha avuto difficoltà, chi non ha subìto almeno una volta pressioni tali da avvenimenti dolorosi e tragici della vita da non pensare solo per un attimo di “farla finita?”.
Ciò avviene perché immediatamente si affollano nella nostra mente volti di persone che ci richiamano, che ci rimproverano, ci sostengono ed in quei momenti la possibilità di confidarci e di ricevere prove d’amore dalle persone care, nonostante il nostro dolore, la nostra colpa, i nostri problemi, ci fa letteralmente “ritornare in vita” facendoci sentire che la bellezza dell’esistenza si impone anche sulla sofferenza, che pure non manca nella vita di ciascuno.
Ci si decide per la morte, perché di fronte ad un dolore insopportabile non si trova la via per uscire dalla propria solitudine, attraverso la condivisione di questo nostro dramma con qualche persona significativa. L’Amicizia è l’antidoto più potente alla perdita di senso dell’esistenza, molto più dell’amore, poiché quest’ultimo rappresenta sì una forza ma anche un motivo di tormento e talvolta anche un fattore di suicidio. Il problema sta nel fatto che difficilmente siamo educati all’amicizia, poiché nella nostra vita così vitale ma anche tormentata, pur sperimentando numerose relazioni, queste non ci liberano mai da una sensazione di solitudine che non sembra perciò intaccata dalla generica frequentazione di persone.
La natura umana è tale per cui si realizza solo in relazione; il dolore di vivere sta, in senso radicale, nel non sapere che l’altro è rimedio al dolore. E’ la situazione di chi non riesce a vedere oltre la gabbia del suo io, è una forma di orgoglio che impedisce di chiedere, perché convinti di non poter ottenere. Per prevenire i suicidi quindi occorre agire su due leve: dare maggiore rilevanza sociale all’adolescenza ed educando all’amicizia intesa come capacità di richiedere e di dare. La vita è bella, perché rifiutarla?!?
Simona