Incontro persone atterrate dalla vita. E da lì, da giù per terra, cambia la prospettiva da cui guardi il mondo intorno a te. Cambia lo sguardo. Da giù cambia la scala dei valori, delle priorità, di ciò che è importante o no. Cerchi vie di uscita, strategie di sopravvivenza; cerchi senso, risorse per affrontare quella che da giù sembra la scalata dell’Everest a piedi nudi. Cammino per strada con in mente le storie ascoltate, la mia, quelle delle persone vicine. Penso a quanta umanità di valore lotta, a quanta umanità di scarso valore ottiene riconoscimenti. Talenti che faticano ad arrivare a fine mese, incapaci che gestiscono potere. Tutti i giorni in ospedale mi sento ripetere le stesse frasi: “ma perché proprio a me?”, “non è giusto!”. Sulla strada che percorriamo prima o poi incontriamo tutti lo stesso scoglio: l’ingiustizia. La vita è profondamente ingiusta. Vorremmo appellarci a un senso superiore che possa sanare i torti subiti, ma non c’è. Accade ciò che accade, senza appello. Poi posso provare a fare qualcosa, ovviamente. Combatto, come posso. Ma che sia una malattia, un accidente di vario genere, una persona che ti fa del male, resta che con quell’accadimento ci devo fare i conti, per quanto ingiusto possa essere. Il senso di ingiustizia ci può atterrare, ci può lasciare rabbiosi, ci può distruggere. È una dura lezione che dobbiamo prendere così com’è. Però poi ciò che ne facciamo, come riusciamo a reagire a quella dura lezione, fa la differenza. Ascolto anche in me la voce che protesta e si lamenta, ma poi so che non posso andarle dietro. Quella voce tira giù. Metto energie per contrastarla, e come il Barone di Münchausen, mi tiro su per il codino. Grazie all’amore e all’amicizia di chi mi sta vicino; grazie alla bellezza che riesco a cogliere; grazie alla musica che infonde energie, quieta l’animo agitato. Finora, grazie a tutto questo, il mio sguardo ha sempre ritrovato il respiro del cielo.
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