Avrei capito più in là perchè, da bambina, fra tutte le favole la mia preferita era quella della Bella e la Bestia. All’incirca verso i 15 anni, l’avrei cominciato a capire: quando, fra tutti i miei compagni di liceo che avrei potuto scegliere per innamorarmi, ho scelto E. che non parlava, non sorrideva mai. Era antipatico, ne andava fiero, era di destra: e io lo amavo. Fu lui il primo a cui regalai una rosa, il simbolo che, nella Bella e la Bestia, segna la possibilità per la Bestia di tornare ad essere umano.
“Ma dovrai incontrare l’amore prima che questa rosa appassisca”, sentenzia infatti la fata che, indignata dalla prepotenza del principe, lo trasforma in un’orribile bestia all’inizio della storia. Il resto si sa: arriverà Bella, la rosa non appassirà e l’amore compirà la magia.
Invece: “Che ci faccio con ‘sta rosa?”, mi chiese E. Provai a spiegarglielo con una lunga ( a onor del
vero troppo lunga ) lettera. A cui non rispose mai. La sua rosa presumo appassì: lui rimase antipatico e di destra, io innamorata. Questo non bastò per scalfire la mia fiducia incondizionata nella possibilità d’ingentilire mostri, ma dopo rose e rose appassite senza che nessun incantesimo si compisse, anche guardarmi attorno, osservando quello che capitava alle mie amiche, cominciò a farsi strada, dentro di me, il sospetto che le cose andassero al contrario di come vanno nella favola. E che, semmai, i principi o le principesse che incontriamo sono destinati, giorno dopo giorno, a trasformarsi in bestie. Ma è durato poco quel sospetto: la vita è troppo interessante per rinunciare ad interpretarla con le favole. E allora oggi, sempre guardandomi attorno e dentro, osservando quante Belle s’incaponiscono con le loro Bestie, mi dico che forse è proprio lui, il benefattore. La Bestia. Mi dico che è lei la
fortunata: Bella. Una ragazza che fin da bambina non si è mai trovata a suo agio nel mondo. Una ragazza a cui tutto è sembrato poco: e a cui allora, il niente che una Bestia rappresenta, può
sembrare all’improvviso tantissimo. Le appare come una sfida, in una realtà troppo scialba per
lanciarne. Come un gioco pazzo, un divertimento senza limiti. E, soprattutto, le regala la possibilità
fantastica di entrare in contatto con la sua stessa bestialità. Con le sue paure più remote, messe però in scena, platealmente, da un altro.
“Non riesce ad abbandonarsi all’intimità!”, si lamentano le mille e mille Belle disperate per quant’è inafferrabile la loro Bestia. Ma perchè? Loro ci riescono, ad abbandonarsi all’intimità? Noi, Belle o ex Belle, ci riusciamo? Io non credo.
Perchè quelle che ci riescono vanno subito a cercarsi un Bello ( o una Bella ) con cui costruirsi
qualcosa. Mica perdono tempo dietro alle Bestie, mica si logorano dietro a chi non vuole saperne niente né di loro, né dell’amore, mica si domandano dov’è che si è rotto qualcosa, un giorno lontano, nel cuore dell’uomo ( o della donna) con cui si sono incaponite. Ma, mentre non perdono tempo, si perdono l’avventura meravigliosa che è andare alla ricerca di quel qualcosa di rotto. Perchè anche se non porterà al risultato sperato, anche se la Bestia rimarrà una bestia e la rosa appassirà, cercando quel qualcosa scopriremo fatalmente dove e perchè si è rotto il nostro, di cuore, un giorno lontano. E allora ringraziamole, le Bestie che abbiamo incontrato, anche se non si sono trasformate in principi o principesse: ci hanno dato tanto. Ci hanno messo in contatto con la nostra parte più buia, più bambina.
E se non ci fossero stati e state loro, se non ce ne fosse stato almeno uno ( o una ) nel nostro passato, oggi non saremmo noi.
Finalmente libere dall’incantesimo di avere bisogno di una Bestia per sentirci Belle.
Jù
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