Torno a casa e ho in mente un racconto di Solzenicyn che ho molto amato: “Una giornata di Ivan Denisovic”.
Vita in un campo di lavoro in Siberia.
Quel racconto mi è caro per un episodio che viene raccontato. Vado a memoria, perché non ritrovo più il libro, e sono passati molti anni da quando l’ho letto…
I prigionieri devono costruire un muro che non serve a nulla, e che è già stato iniziato da qualcuno, in malo modo. Si mettono a tirarlo su bene, e alla fine della giornata, quando è ora di far ritorno al campo, è rimasta ancora molta calcina, che il protagonista non vuole sciupare. Così si dà da fare per finire la calcina e portare avanti il muro nel modo migliore possibile. E alla fine è soddisfatto della sua giornata, che è passata velocemente, quasi troppo in fretta perché a quel lavoro ci aveva preso gusto. Ecco, quel muro inutile tirato su alla perfezione è un’immagine bellissima e commovente. Mi ha sempre parlato del fare al meglio ciò che possiamo e dobbiamo fare. Mettendoci del nostro. Questo spazio di assunzione di responsabilità individuale è uno spazio di libertà. La vita ci mette in tante situazioni in cui non vorremmo mai ritrovarci; ci costringe in confini e limiti che ci fanno soffrire. Però, lì, in quegli spazi che sembra non ci appartengano, possiamo provare a mettere qualcosa di nostro, qualcosa che sia il nostro impegno possibile, ciò che riusciamo davvero a fare.
Perché la differenza tra sentirsi vittime e sentirsi individui liberi sta proprio lì, in quello spazio di assunzione di responsabilità, dove ciascuno sceglie di dire di sì alla vita. Come può, con quel che ha, con quel che c’è. Ora sono qui a scrivere e penso al pezzetto di muro tirato su oggi. Penso alla signora che si è sempre mostrata forte e che in lacrime mi dice che è proprio stanca, che non ce la fa più; penso all’uomo sdraiato supino in un letto, ancora inconsapevole che dal collo in giù ciò che non muove non si muoverà più, che mi parla della musica che ama, e che per passare il tempo segue spartiti sul soffitto, e lì compone musiche che un giorno -crede-tornerà a suonare. Il mio muro è fatto di parole, ascoltate e dette. Non è sempre dritto come dovrebbe, o come potrebbe essere. Ci sono giorni in cui è più difficile essere “centrata”, giorni in cui la mente e il cuore sono un po’ altrove, e faticano a rientrare lì. Anche questo è muro. E domani, sarà un altro giorno, altri mattoni, altra calcina a tenerli su.
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