Ho letto un libro piccino per numero di pagine ma grande come spunto di riflessione: “Il libraio di Selinunte”, di Roberto Vecchioni. E da questa lettura è nata la piccola favola che ho scritto, se così si può chiamare. Sono pensieri nati spontanei dopo aver divorato in poche ore la storia di un paese, Selinunte appunto, in cui un libraio magico, un folletto forse, per vendicarsi della cattiveria degli abitanti nei suoi confronti ma soprattutto del loro menefreghismo nei confronti dei buon libri, della cultura, della letteratura, come il pifferaio di Hammelin ruba loro tutti i libri e con essi tutte le parole complicando così la loro vita all’inverosimile perchè non riescono più ad esprimersi e quindi a capirsi. L’unico che si salva da questa amnesia generale è Nicolino, un ragazzino che ha seguito quasi in estasi tutte le letture del libraio, scappando da casa di notte e nascondendosi dietro a pile di libri. E adesso, se permettete, una domanda. E se questo libraio arrivasse nelle nostre città e ci rubasse le parole? Se ci dovessimo ridurre come quei bambini che vogliono la cosa per cosare? Una volta, tanti anni fa, gli uomini scoprirono le parole. Qualcuno pensò che con il loro uso sarebbe stato più semplice spiegarsi, comprendersi e cercò di diffonderne l’uso. Purtroppo, però, come sovente accade, la moltitudine degli uomini si divise in tre parti. La prima si limitò ad impararne poche, convinta che bastassero. La seconda cercò di impararne il più possibile. La terza, indecisa, ci pensò su a lungo e forse lo sta ancora facendo. Tra le prime due parti, si creò un abisso sempre più ampio e le difficoltà a capirsi aumentarono anziché dimimuire. Il divario crebbe e crebbe fino ai giorni nostri quando ancora le incomprensioni esistono e paiono irrisolvibili. La restante parte, beh….. l’ho già detto. Ci sta ancora pensando, indecisa. Forse anche pigra. Quale è il problema? Forse è più semplice di quanto si pensi. Il gruppo numero uno, quello che pensava che poche parole bastassero, non si rese conto che non siamo noi i padroni assoluti delle parole ma che le stesse hanno una propria volontà e solo quando sono contente e soddisfatte del loro posto all’interno di una frase rivelano il loro giusto significato senza possibilità di essere fraintese e creano un discorso valido, sensato. Comprensibile. Non capendo questo, gli appartenenti al gruppo si limitarono a mescolarle alla bell’e meglio usandole anche a sproposito. Inventarono insomma, non un linguaggio semplice come volevano, ma bensì un guazzabuglio in cui essi stessi si perdevano. Col tempo e l’esperienza e varie leggere modifiche riuscirono poi a creare un idioma semplice, abbastanza comprensibile, ma povero. Soprattutto, ascoltato con aria di superiorità e pietà da quelli del secondo gruppo. Essi, infatti, curiosi e mai paghi delle scoperte, avevano continuato a cercare parole nuove. Le avevano acchiappate, smontate, studiate e rimontate assaporandole una per una. Avevano così potuto scoprire il loro uso reale, le loro varie sfumature, la giusta collocazione all’interno di una frase. Avevano capito che una frase non si crea mescolando in un cilindro vari vocaboli e poi estraendoli a casaccio ma, al contrario, la stessa assumeva sfumature e significati assai diversi a seconda dei termini usati e del modo in cui essi erano adoperati. Avevano scoperto altresì, perdonate il gioco di parole, che non si è mai finito di scoprire e che altri vocaboli li aspettavano nella riga successiva di un libro, di un giornale di un foglio scritto. La grandiosità delle parole… La potenza dei libri… Questo avevano scoperto…. e questo era diventato uno degli stimoli più importanti della loro vita. Conoscere, capire, migliorare. Crescere spiritualmente ed intellettualmente. La cultura! La sua forza! Sentirono, ed i loro discendenti sentono ancora, la voglia e la necessità di diffondere il sapere diffuso dalle pagine stampate, quelle pagine di valore scritte nel linguaggio universale che è la buona letteratura. Quelle pagine che ad ogni parola, ad ogni frase, scritta con cura, risvegliano sentimenti e sensazioni, aprono la mente, i suoi occhi, e ti permettono di vedere i monti dove non ci sono, odorare il mare dove c’è solo carta, sentire il calore del sole anche se è quello dei termosifoni. Patrizia