Oggi pubblichiamo questa bellissima lettera aperta, scritta da Deborah Alaimo. No, Teresa, non sarà più la stessa. Niente è più nostro di un figlio. Nessun collante è più potente del liquido amniotico che ha condiviso una madre ed il suo piccolo. Niente è più saldo della forza che un genitore possiede. Nulla è più profondo dell’affetto che unisce Teresa e Roberto. Sento freddo. Un gomitolo nell’angolo di un letto troppo grande per dormirci da sola. Il silenzio si allarga da qui come i cerchi concentrici di un sasso lanciato nell’acqua. Sento freddo e la penso, Teresa. Non riesco a concepire come si possa sopravvivere ai propri figli. Io, che ne ho uno. La immagino catatonica mentre guarda nel vuoto, e legge, nell’ultima riga del silenzio, il suo dolore indescrivibile. La sorte le è passata sopra come la furia di un mare in tempesta, che sommerge, distrugge le sponde e frana gli argini delle nostre certezze. La sua mente è come un vortice oceanico che inghiotte ricordi: risucchia sorrisi, viaggi, fotografie, compleanni e candeline, ginocchia sbucciate e pianti, libri, baci e consolazioni, notti insonni e favole, telefonate da oltre mare, odori, progetti, futuro…. Tutto via. In un attimo. In quel “Signora, deve venire subito” che travolge il cuore di una madre, lasciandola come straccio bagnato a terra. Quanto ha fatto per quel figlio! Quanta forza e coraggio è germogliata dentro lei, mentre lo cresceva amorevolmente, caparbiamente! Da sola. Chi la raccoglierà ora. Chi la raggiungerà nel deserto della sua vita. Quando tutto il turbinio del mare in tumulto si sarà prosciugato, lasciando dietro di se solo detriti e scheletri. Non ho parole di consolazione, io, per lei. Forse qualcun altro; ma io, no; non sono degna di avvicinarmi al suo dolore. Il dolore di una madre che raccoglie il proprio figlio morto. Come la Pietà di Michelangelo a San Pietro. una donna che col tempo annuserà i panni lasciati in casa da quel figlio. Una madre che si incollerà addosso i ricordi più belli di quel figlio, che li farà suoi, conservandoli gelosamente come un dolce regalo che scolora nel tempo. Infondo penso che nulla di ciò che abbiamo, è nostro; la vita che abbiamo è solo in prestito; ogni singolo bene è un dono. Niente ci appartiene davvero. Neppure nostro figlio. Fa tutto parte del grande gioco dell’Universo. A volte così atroce. A cosa aggrapparsi allora dopo una perdita così terribile, così definitiva? Personalmente voglio pensare che ci sia qualcosa di più grande dell’umana comprensione. Voglio sperare che tutto abbia un senso e che ciascuno di noi, nel proprio cammino di sofferenza, abbia una missione; che ogni evento, anche il più tragico, possa insegnarci a dare la giusta importanza all’amore, alla vita. Consolazione per Teresa sarà la certezza che lui farà sempre parte di lei, vivrà nelle sue cicatrici, misteriosa presenza nell’aria, che si attaccherà alle pareti della sua anima e la accompagnerà, con un alone di speranza, per tutta la sua vita. Per ora, nella più profonda compassione, prego Dio perché lei possa trovare col tempo rassegnazione e serenità, trascinandosi in salvo. Lecco, 28 settembre 2010