A seguito dell’aggressione subita nella propria casa da un grande uomo e sacerdote da parte di alcuni “forestieri”, ho intrattenuto una sana e proficua conversazione con un amico e collega, il tema della riflessione verteva la dichiarazione di un premier d’oltreoceano sull’immigrazione e il valore della accoglienza. Certamente non volevo provocare una filippica nazional popolare, tanto meno scatenare liturgie di largo consumo più o meno attuali. Nel discorso di questo premier australiano (vero o costruito che sia poco importa ) non ci ho trovato nulla di scandaloso, di nascostamente ingannatorio, indipendentemente dalla storia di un popolo, anzi, proprio per la sua storia con tutto il diritto e dovere di non rischiare di ricadere all’indietro. La cultura australiana violenta? Aborigeni messi con le spalle al muro? Sicuramente, epperò altre nazioni esemplari per cultura, potrei dilungarmi nel merito, invece mi limito a segnalare gli United States con gli indiani d’America, l’Italia con le sue belle e non troppo vetuste leggi razziali ecc. Questo l’intervento sotto accusa: “Non sono contrario all’immigrazione e non ho niente contro coloro che cercano una vita migliore venendo nella nostra terra, tuttavia ci sono questioni che coloro che sono arrivati nel nostro Paese devono capire.
Come Australiani (io aggiungerei pure come italiani ), abbiamo la nostra cultura, la nostra società, la nostra lingua ed il nostro modo di vivere.
Questa cultura è nata e cresciuta durante secoli di lotte, processi e vittorie da parte dei milioni di uomini e donne che hanno cercato la libertà di questo Paese. Noi parliamo inglese (direi pure italiano ), non il libanese, l’arabo, il cinese, il giapponese, il russo o qualsiasi altra lingua. Perciò, se desiderate far parte della nostra società, imparate la lingua! La maggioranza degli australiani (italiani) crede in Dio (sebbene la nostra Costituzione sottolinei lo stato laico, ciò non ingenera alcuna sharia o guerra santa). Non si tratta soltanto di un affare privato di qualche cristiano fondamentalista di destra, ma vi è un dato di fatto certo ed incontrovertibile: uomini e donne cristiani hanno fondato questa nazione su principi cristiani, ed è chiaramente documentato nella nostra storia e dovrebbe essere scritto sui muri delle nostre scuole. Se il nostro Dio vi offende, allora vi consiglio di prendere in considerazione la decisione di scegliere un’altra parte del mondo per mettere su casa, perché Dio è parte della nostra cultura. Accetteremo le vostre opinioni religiose, e non vi faremo domande, però daremo per scontato che anche voi accettiate le nostre e cercherete di vivere in pace ed armonia con noi.
Siamo orgogliosi della nostra cultura, come voi della vostra, e non pensiamo minimamente di cambiarla, ed i problemi del vostro paese di origine non devono essere trasferiti sul nostro.
Cercate di capire che potete praticare la vostra cultura, ma non dovete assolutamente obbligare gli altri a farlo. Se non accettate la nostra bandiera, il nostro giuramento, i nostri impegni, le nostre credenze cristiane, o il nostro modo di vivere, vi dico con la massima franchezza che potete far uso di questa nostra grande libertà di cui godiamo in Australia (fin’anche in Italia): il diritto di andarvene. Se non siete felici qui, allora andatevene. Nessuno vi ha obbligato a venire nel nostro Paese. Voi avete chiesto di vivere qui: ed allora accettate il Paese che avete scelto. Se non lo fate, andatevene! Vi abbiamo accolto aprendo le porte del nostro paese; se non volete essere cittadini come tutti in questo paese, allora tornate al Paese da cui siete partiti!
Questo è il dovere di ogni nazione. Questo è il dovere di ogni immigrato”. Il mio amico ha battuto forte il tasto sulla disuguaglianza, sull’impossibilità di fare vera integrazione, sulla facilità con cui stabiliamo chi è bravo e chi cattivo, sul bene e sul male, soprattutto sul cosa è giusto e ingiusto. Gli ho risposto che non lo afferravo troppo, o meglio lo afferro come una clava, perché dall’alto appare come una mediazione tra ogni forma di assolutismo, dal basso allo stesso tempo taglia carne e ossa di ogni eventuale e democratica tutela di diritti e doveri di ogni cittadino, si, perché cittadino con diritto di cittadinanza è colui che non fa razzismo al contrario, che non delinque, che non si spaccia per rivoluzionario di una controversia che non c’è. Il mio amico imperterrito ribadisce che non ama parlare di integrazione bensì di interazione, e io ritengo sia buona cosa, condivido, e non mi pare ci sia da fare polemica distruttiva su quanti vengono nel nostro paese per salvarsi la vita, per non essere torturati, o sottoposti a vessazioni di ogni tipo. Di certo però occorre prendere atto che se non c’è chi è migliore, come sottolinea lui, c’è necessità di diventare migliori, questa è strada che si inerpica tra cambiamento e resistenza alla sopravvivenza, comporta scelte coraggiose, non suicidiarie-compassionevoli, ma vestite di giustizia, quindi non consentendo ad alcuno di rubare, peggio, rapinare la dignità ad alcuno. Sugli immigrati e sull’immigrazione c’è poco da fare puzza sotto il naso, sulla disperazione delle persone c’è poco da scandagliare o reperire giustificazioni, chi è disperato davvero è senza più speranza, ossia un pacco bomba a breve o a lunga gittata-distanza.Dividere i cittadini tra buoni e cattivi è politica a basso costo? Ma Caino e Abele sono esistiti ed esistono, c’è chi colpisce e chi rimane assente ingiustificato, ci sono le assenze eterne che diventano presenze costanti, c’è il dolore, la tragedia, il castigo, la capacità di ritrovare un senso, di riparare, di perdonare, di ritornare a essere finalmente uomini migliori. C’è in corso nel nostro paese un ingiusto e miserabile taglio sociale sui minori e sulle minoranze, ma ciò non credo sia riconducibile a una comunicazione manipolata e manipolante, ritengo sia il risultato di una politica che non c’è, di stive di dobloni che hanno preso altre vie e soprattutto di soldoni caricati in capitolati diversi da quelli concordati in partenza, il che mi pare sottenda altro ragionamento. Dietro alla dicitura “sicurezza” si celano da sempre nefandezze inenarrabili, privilegi e azzeramenti dis-umani, allora da una parte sarà bene ricordare Lenin quando ebbe a dire: la fiducia è bene, il controllo è meglio. Infatti con il senno del poi ne abbiamo visto la più drammatica degenerazione. Dall’altra sponda è urgente rimanere distanti da emarginazioni e marginalità, proprio perché chi sopravvive (non vive quindi) emarginato, a sua volta emarginerà gli altri, bianchi o neri, buoni o cattivi, giusti e ingiusti. Personalmente non ho parentele-prossimità con accelerazioni ideologiche sulla crisitianità, sulle religioni, sulle politiche, ma quel “ero forestiero e mi avete accolto” di cui fa cenno il collega, ho l’impressione che porti gli scarponi chiodati di altra potente affermazione “ ero in carcere e siete venuti a trovarmi”, sono respiri di un vangelo scomodo, e per questo intriso di sangue e verità.
Il mio amico mi risponde che con il Vangelo non si bara, ha ragione da vendere, ma sebbene la coscienza evangelica non abbia trucco a poppa, non per questo mette con le spalle al muro quanti sostengono a buon diritto che anche il rispetto è buona cosa, la reciprocità anche, e nel dirgli questo non faccio finta di non sapere che ci sono tanti poveracci in carcere, nei centri identificazione ed espulsione, a Lampedusa o da altre parti del territorio nazionale, e non sono trattati nel rispetto della dignità umana.
L’ingiustizia e il sopruso non hanno passaporto di entrata da nessuna parte del mondo.
Essere e fare comunità significa potere vivere e non solo sopravvivere, ma se sopravvivi perché non c’è lavoro, non ci sono danari, non ci sono spazi condivisi per assenza di coerenza e quindi generosità, non c’è neppure accoglienza, ancora meno se non è fatta rispettare la regola dell’accoglienza: l’accoglienza è proponibile solamente se nel suo dna c’è radice che permette di realizzarla, attraverso quelle regole dirette-comprensibili che però debbono esser fatte rispettare.Se non chiariamo questo punto non sapremo vedere mai un volto umano.
Vincenzo Andraous