Ai miei tempi esisteva solo un catechismo per tutti: era il catechismo di San Pio X. Era semplice e sicuro: una domanda ed una risposta secca, per pagine e pagine. Si imparava a memoria. Alla fine dell’anno il curato ci radunava e c’era come un concorso di catechismo. Il più svelto a rispondere prendeva dei punti. Chi aveva più punti passava al livello diocesano. Mi resta il rammarico di non essere mai arrivato trai primi. Addio diocesi. Però alla fine della storia tutti sapevamo le risposte della messa, i comandamenti, i precetti, i sacramenti, le preghiere del buon cristiano, gli atti di fede… Tanti anziani ricordano ancora tutte queste cose. Feste ce n’erano anche ai nostri tempi a rendere gioioso il catechismo e sviare la noia di quelle domande e risposte ripetute all’infinito. C’erano le feste di San Filippo e San Luigi. Feste così ricche di gioia che oggi nemmeno ce le sogniamo. Immaginate di andare all’Oratorio con un salamino e un pane e condividerlo con tutti. Non c’erano altre cose, ma proprio questa sobrietà rendeva così rare queste feste e le faceva diventare preziose. Ma erano altri tempi, altre generazioni… Oggi capisco perché trovo così difficile la disponibilità a fare catechismo. E’ difficile essere catechista oggi. Portatori di un messaggio che sembra perdente, di un tesoro che non sembra più tale, di una parola che si perde nel chiasso e nella distrazione. Anch’io sento la tentazione di mollare a volte, considerando lo sforzo che mi costa ed il senso di inutilità di tanto parlare. Ma poi penso alla ricchezza che mi dà il dover pensare a parole che se non facessi catechismo non proverei. Se penso ai catechisti della mia infanzia molti non li vedo da anni ma qualcuno mi è rimasto in mente e non lo dimenticherò mai. Lo conoscevano tutti come NINO FRER perché faceva il fabbro. Il fabbro di sessant’anni fa. Mani enormi, il piccolo a girare la manovella della forgia, il carbone che sfrigolava e il pezzo di ferro che diventava incandescente. E poi l’incudine ed il martello e noi a guardare uscire da quelle sbarre dei riccioli e poi delle lance. Uomo geniale che sapeva fare tutto. E la domenica inginocchiato sempre nello stesso banco, con la testa tra le mani grandi ed io lo guardavo di sottecchi. Sapevo che stava pregando e mi chiedevo cosa dicesse. Alla prima confessione mi ha preparato lui. Il pomeriggio era lui che proiettava il film, io ero povero in canna e lui lasciava aperta la porticina e mi godevo “Arrivano i nostri” dalla finestrella. Poi ho visto “Nuovo cinema Paradiso” e mi è sembrato di vedere una storia da cui ero già passato.
Don Bruno