La produzione dei “puerili”
Il corpus delle opere così dette “puerili”[19] dimostrano che il giovane Leopardi sapeva scrivere in latino fin dall’età di nove-dieci anni e sapeva padroneggiare i metodi di versificazione italiana in voga nel Settecento, come la metrica barbara di Fantoni, oltre ad avere una passione per le burle in versi dirette al precettore ed ai fratelli.
Nel 1810 iniziò lo studio della filosofia, e due anni dopo, come sintesi della sua formazione giovanile, scrisse le Dissertazioni filosofiche, che riguardano argomenti di logica, filosofia, morale, fisica teorica e sperimentale (astronomia, gravitazione, idrodinamica, teoria dell’elettricità, eccetera). Tra queste è nota la Dissertazione sopra l’anima delle bestie. Nel 1812, con la presentazione pubblica del suo saggio di studi che discusse davanti a esaminatori di vari ordini religiosi e al vescovo, si può far concludere il periodo della sua prima formazione che è soprattutto di tipo sei-settecentesco ed evidenzia l’amore per l’erudizione e uno spiccato gusto arcadico.
La formazione personale
Primi due volumi di Opere
Cessata la formazione nel 1812 dell’abate Sanchini, il quale ritenne inutile continuare la formazione del giovane che ne sapeva ormai più di lui, Leopardi si immerse totalmente in uno “studio matto e disperatissimo”, della durata di sette anni, che assorbì tutte le sue energie e che recò gravi danni alla sua salute. Apprese perfettamente il latino (sebbene si considerò sempre “poco inclinato a tradurre” da questa lingua in italiano e, senza l’aiuto di maestri, il greco e l’ebraico e, seppure in modo più sommario, altre lingue (francese, sanscrito, inglese, spagnolo) e compose poi opere di grande impegno ed erudizione. Risalgono a questi anni la Storia dell’astronomia del 1813, il Saggio sopra gli errori popolari degli antichi del 1815, diversi discorsi su scrittori classici, alcune traduzioni poetiche, dei versi e le tre tragedie, mai rappresentate durante la sua vita, La virtù indiana, Pompeo in Egitto e Maria Antonietta (rimasta incompiuta).
Iniziò anche le prime pubblicazioni e lavorò alle traduzioni dal latino e dal greco dimostrando sempre di più il suo interesse per l’attività filologica. Sono questi anche gli anni dedicati alle traduzioni dal latino e dal greco corredate di discorsi introduttivi e di note, tra i quali gli Scherzi epigrammatici tradotti dal greco del 1814 e pubblicati in occasione delle nozze Santacroce-Torre dalla Tipografia Frattini di Recanati nel 1816, la Batracomiomachia nel 1815 e pubblicata su «Lo Spettatore italiano» il 30 novembre 1816, gli idilli di Mosco, il Saggio di traduzioni dell’Odissea, la Traduzione del libro secondo dell’Eneide e la Titanomachia di Esiodo, pubblicata su «Lo Spettatore italiano» il 1º giugno 1817.
La conversione letteraria:
dall’erudizione al bello
Tra il 1815 e il 1816 si avverte in Leopardi un forte cambiamento frutto di una profonda crisi spirituale che lo porterà ad abbandonare l’erudizione per dedicarsi alla poesia. Egli si rivolge pertanto ai classici, non più come ad arido materiale adatto a considerazioni filologiche ma come a modelli di poesia da studiare. Seguiranno le letture di autori moderni come Alfieri, Parini,[30] Foscolo e Vincenzo Monti, che servirono a maturare la sua sensibilità romantica.[31] Ben presto egli legge I dolori del giovane Werther di Goethe, le opere di Chateaubriand, di Byron, di Madame de Staël. In questo modo il Leopardi inizia a liberarsi dall’educazione paterna accademica e sterile, a rendersi conto della ristrettezza della cultura recanatese e a porre le basi per liberarsi dai condizionamenti familiari. Appartengono a questo periodo alcune poesie significative come Le Rimembranze, L’Appressamento della morte e l’Inno a Nettuno, nonché la celebre e non pubblicata Lettera ai compilatori della Biblioteca Italiana, indirizzata nel luglio 1816 ai redattori della rivista milanese in risposta alla lettera Sulla maniera e utilità delle traduzioni di Madame de Staël, apparsa sul primo numero, nel gennaio dello stesso anno.
Fonte: Vikipedia