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FORSE CHE IL VIVERE SIA MORIRE E IL MORIRE SIA VIVERE?

Giaceva lì grigio e spettrale. Immobile, dentro un espressione non sua, severa, quasi regale. In un sonno infecondo, senza pensieri o sogni. Liberato dall’affanno del respiro. Che strano, pensavo guardandolo, parliamo così raramente e malamente dell’unica cosa che sappiamo certa nella nostra esistenza. Per evitare anche solo di nominarla abbiamo costruito miliardi di sovrastrutture mentali, che si chiamano mondo. Eppure la incontriamo ogni giorno, fa parte della nostra essenza, ci sta appiccicata addosso consumandoci ora dopo ora.

La morte ci affianca fin dal primo vagito, a volte la chiamiamo convenzionalmente fame, ma è il primo segnale di una forzata convivenza, che allontaniamo dal principio col latte materno e via via con tutto il resto che ci circonda.

Attribuiamo quasi tutto quello che facciamo al vivere, ma non sarebbe più giusto chiamarlo non morire? Ci insegue continuamente e noi abbiamo imparato a sfuggirla: mangiando, bevendo, coprendoci, costruendoci le case e lavorando per avere il denaro con cui procurarci tutto ciò che ci serve per rimandarla: dalle medicine alle auto più sicure, dalle vacanze alla visita medica privata. E attorno ai gesti vitali, per la sopravvivenza fisica, ruotano tutti gli atti viziosi che ci distraggono ulteriormente, e che ce la fanno dimenticare. Persino le invenzioni e le scoperte, in qualsiasi campo, sono finalizzate allo sfuggirle.

La psicologia ci insegna che ogni nostra paura finisce nella paura di lei. Le religioni esistono grazie a lei. Ma non ricordo di aver mai saputo di un convegno o un dibattito che trattasse l’argomento in maniera esplicita, neppure da parte della chiesa.

Gli adulti tramandano ai bambini la paura, terrorizzandoli con il loro silenzio, con lo sgomento di cose irrimediabili, con cerimonie prive di gioia e speranza, illudendosi di nasconder loro ciò che non si può nascondere perché gli occhi dei bambini sono “grandi”.

Non sarebbe bello un confronto tra religioni e investimenti in sperimentazioni scientifiche serie? Se il neonato nella pancia della mamma sapesse che il fastidio di lasciare il tepore dell’utero è necessario per giungere tra le braccia di chi lo ama, piangerebbe ancora impaurito? Se chi è già al di là della pancia accarezza piano il feto sussurrandogli parole dolci di attesa, non gli è già di aiuto lì e amico da riconoscere quando scivolato fuori dal ventre buio non saprà dove è?

Ma il contatto con l’aldilà ci terrorizza, come ogni cosa di cui non parliamo. E spesso chi sente crollare dentro di sé la struttura di finzione, che nasconde la verità, rimane disorientato, senza bussola, spaventato dall’enorme imbroglio costruito dall’umanità.
E attonito, disperato, le si getta addosso, per non sentirne più il richiamo.

Solo l’amore sembra preservarci dalla paura. L’amore (quello vero!) è l’arma che sconfigge la nemica per eccellenza e lo fa con la forza e il coraggio. Quando amiamo siamo pronti a morire: non diciamo infatti “ti amo da morire?” Forse è proprio l’amore, quando vi aderiamo intensamente, il canale che può farci superare la barriera tra diverse dimensioni. E mi nascono nuovi interrogativi: abbiamo il potere di viaggiare in una dimensione che non percepiamo coi nostri sensi (forse col sesto o con un settimo…) nella quale possono esserci delle risposte per gestire meglio le nostre esistenze e il “passaggio”? E’ la religione la “scienza” che può aiutarci a sviluppare queste capacità? L’amore è il semisterile binomio che l’umanità si è creata o è un’energia con poteri insospettabili, come hanno testimoniato mistici di ogni religione?

Il vivere con amore in questa dimensione serve esclusivamente ad un benessere temporaneo o è strettamente legato ad avvenimenti che ci attendono “oltre il confine?”. E’ vero quello che dice Alessandro Magno nel film “Alexander”: “vincete la paura e vincerete la morte? E chi è questo Gesù che non teme la morte, che la affronta da uomo e la sconfigge da Dio? E’ lui il segreto? E’ lui la libertà dalla catena della vita (o delle vite) che corrode irrimediabilmente ogni cosa?

Stefano

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