Si sveglia la natura, la giornata si allunga, i sensi sembrano amplificarsi e l’umore migliora con il semplice alzare lo sguardo al cielo.
Mi viene voglia di uscire e godere del clima, è come se il corpo mi urlasse che il tempo del “letargo” è finito e ora c’è bisogno di recuperare.
Ma le vacanze estive sono lontane e noi studenti siamo nel bel mezzo dell’anno accademico, magari sotto esame, ed ecco che la primavera diventa “un’altra distrazione”.
A Milano i più intraprendenti decidono che continuare a svolgere il proprio dovere non significa rinunciare a stare un po’ all’aria aperta, così cercano di combinare le due cose.
Ma per fare ciò l’unico posto comodamente raggiungibile, all’aria aperta e che non poggia su cemento è il parco, un’istituzione direi.
Il comune ne vanta più di 50, alcuni molto ben curati, altri meno, e l’affluenza in questo periodo è sempre notevole poiché non c’è clima più adatto della primavera per un parco: non fa freddo, né eccessivamente caldo.
Siamo principalmente noi giovani che ci andiamo, al mattino o al pomeriggio, ma si trovano persone di tutte le età. Qualunque cosa ci si faccia, il parco sembra dare a tutti un’aria molto più felice di quella che hanno nella parte grigia della città. Forse perché essere a contatto con la natura ci fa rispolverare un po’ la nostra condizione umana originaria, primitiva, inalterata, che spesso, un po’ distrattamente, ci rendiamo conto di aver perso. Mi viene in mente Central Park di New York, probabilmente il parco più famoso poiché costituisce un enorme spazio verde al centro di uno degli agglomerati di grattacieli più densi ed estesi al mondo.
Cercando sul web si trovano immagini prese prevalentemente dall’alto, a celebrare la maestosità della “composizione” e il fascino del contrasto verde/grigio della separazione geometrica scelta dai newyorkesi. Come se nel centro di Milano tutti i parchi fossero riuniti in uno, cosa non possibile in effetti, vista la storia della città, ma non solo: pensiamo al parco di Gioia e alle scelte che l’amministrazione di allora adoperò a riguardo. Personalmente adoro i parchi e ne riconosco l’utilità. Non riesco tuttavia a non associarli a qualcosa di innaturale, residuo di una condizione che non ci appartiene più da tempo, da quando la società si è evoluta e ha dato spazio all’innovazione e a uno stile di vita più comodo e sicuro, ma dal quale ormai dipendiamo fortemente.
Volendo azzardare un paragone, è come se un criceto costruisse da sé una gabbia con dentro una ruota, del cibo e dell’acqua, tutto vicino e facilmente reperibile.
Tranquilli, il mio intento non è quello di stilare il solito elenco di pro e contro, anche perché lo ritengo illogico e riduttivo per un discorso del genere. Quella che avevo voglia di condividere è una semplice riflessione sull’evoluzione delle città e su come essa impatti sui nostri bisogni e obiettivi vitali. Quanto ci piace realmente tutto ciò che con infiniti sacrifici abbiamo costruito?
Quanto ci costa e, soprattutto, abbiamo ancora la libertà di scegliere in che modo vivere?
Amedeo