Era il 1966 quando al Salone dell’ Automobile di Ginevra, tolsero il telo su quella che sarebbe diventata una delle creazioni del leggendario cavallino rampante più rare e ricercate.
Prodotta artigianalmente in soli quattordici esemplari sino alla metà del 1967, disponibile solo in versione spider.
Nel frontale, richiamava la bellezza eterna delle 500 Superfast, anche se i fari carenati e le luci aggiuntive a scomparsa erano specifica solo della California. Gli interni erano dominati dai due grossi strumenti circolari, contagiri e contachilometri. In totale sono otto, gli strumenti a forma tonda che consentono di avere a disposizione del pilota tutte le informazioni necessarie sulla vettura mentre si è alla guida. Pelle totale e legni pregiati inondano l’ abitacolo, dando la chiara sensazione di essere alla guida di una granturismo dal fascino senza tempo, capace però se si affonda sul pedale destro di regalare emozioni di guida uniche. La particolarità stilistica che domina le fiancate laterali, davvero rara da vedere su una vettura, un profondo incasso che nasconde anche la maniglie di apertura degli sportelli, in lamina di acciaio. Un finezza che una volta vista non si scorda facilmente. Gli anni ’60 furono anni estremamente intensi, sotto tanti punti di vista: artistico, politico, motoristico. Pensate che fu proprio nel 1966, che il Beatles John Lennon disse rilasciando un’ intervista la famosa frase: “Siamo più popolari di Gesù Cristo “….
Sempre in quell’anno l’ultima esibizione dei “The Doors “ nel leggendario “ Whisky a go go “.
Le case automobilistiche diedero il meglio a mio avviso, creando vetture che a tutt’oggi sono considerate icone assolute del motorismo.
Lo stesso anno fu lanciata la Miura P400 per esempio, sempre al salone di Ginevra.
Tornando alla California, era dotata di un motore V12 di 4,4 litri a carter umido che sprigionava la potenza di 320 CV a 6600 giri/minuto.
Era dotata di un solo albero a camme per bancata e di tre carburatori doppio corpo 40DCI/4.
Il cambio era a cinque marce e la trazione ovviamente posteriore, come sempre dovrebbe essere su una vera sportiva.
Montava freni a disco Dunlop sulle quattro ruote, i leggendari cerchi in lega a raggi della altrettanto iconica Borrani, dotati di mozzo centrale, altro elemento inconfondibile delle Gt degli anni ’60, non potevano di certo mancare sulla California. Sui gallettoni, era indicata chiaramente l’indicazione per lo smontaggio.
Una delle poche scoperte che a mio parere, non perde la grazia una volta chiusa la capote.
Anzi risulta gradevole nell’aspetto, tanto quanto la stessa a capote abbassata. La coda è dominata dai tre fanali di forma circolare e dai quattro scarichi che spuntano minacciosi dal sottoscocca. I colori dei gruppi ottici posteriori e dei catarifrangenti, possono differire fra un esemplare e l’altro, essendo la stessa appunto, una delle migliori creazioni in piccola serie della casa modenese.
Strettamente imparentata con la 330GT 2+2 dal punto di vista telaistico e meccanico.
I cofani anteriore e posteriore erano di alluminio, montati su una struttura in acciaio.
La capote era ovviamente ad azionamento manuale, una volta aperta poteva essere ospitata in un vano dietro i sedili posteriori.
E’ a tutt’ oggi una delle Ferrari più rare e quasi impossibili da trovare.
Questo intenso decennio rivoluzionò stili e culture; basti pensare alla minigonna che mise a soqquadro il modo di vestire femminile o al Maggio francese che al motto di “Vietato vietare“ sconvolse la ville lumiere e tutta la Francia.
Il cavallino rampante plasmò una delle sue creature più rare, un unicorno su quattroruote di rara bellezza, un capolavoro Sono da tempo convinto che certe auto dovrebbero essere patrimonio mondiale dell’ Unesco.
Rispondono al primo criterio per essere tali “rappresentare un capolavoro del genio creativo umano“. Guardate una Ferrari, ascoltatela e ditemi se secondo voi ho torto…
Antonio Gelmini
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